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Ventosa ostetrica

Da dottvolpicelli

La ventosa ostetrica o «vacuum extractor» è, come il forcipe, uno strumento che consente di esercitare opportune trazioni sulla parte presentata, allo scopo di accelerare il parto (1). L’attuale V.E. deriva da un progetto di James Young Simpson che nel 1849 mise a punto lo strumento ispirandosi al meccanismo del tiralatte. Il tipo di ventosa attualmente più diffuso è quello realizzato da Malmström nel 1954 (1-3).

Lo strumento è costituito da:

1) un sistema di ancoraggio costituito da una serie di coppette anteriori o posteriori, dure (di metallo o di plastica) o morbide (in silicone morbido ed espansibile),  di diametro variabile (da 3 a 6 cm)  profonde circa 2 cm da applicare sui  tessuti della parte presentata. Le coppette anteriori presentano il tubo di aspirazione disposto centralmente mentre nelle coppette posteriori questo tubo è inserito eccentricamente in modo da poter applicare facilmente le coppette in caso di asinclitismo, occipito-posteriori ed occipito-trasverse.  Le coppette omnicupposseggono le caratteristiche di entrambe.  Le coppette morbide presentano minori percentuali di lacerazioni dello scalpo fetale ma percentuali uguali alle coppette dure per quanto riguarda i danni fetali gravi ed inoltre sono gravate da  percentuali di fallimento doppie rispetto alle coppette dure (16% vs 9%) (4-9).

Kiwi OMNI-C™ CUP  è indicata specificatamente per l’estrazione della testa fetale nel taglio cesareo. Il profilo basso della coppetta del Kiwi Omni-C Cup ne facilita l’inserimento e fornisce un alto  grado di manovrabilità neel ristretto spazio addominale. La scanalatura presente sulla coppetta progettata per appoggiare le due dita ne migliora la presa sicura e facilita il corretto posizionamento sul punto di flessione.

2) un sistema di trazione  costituito da una catenella ed impugnatura saldamente agganciate alla coppetta tramite una placca metallica posta all’interno della coppetta stessa; la catenella decorre all’interno del tubo di aspirazione  collegandosi con la maniglia;

3) sistema di aspirazione costituito da una pompa elettrica o a mano che, determinando una pressione negativa all’interno della coppetta (-0,8 / -0.9 atmosfere o 600 mm Hg), consente una trazione sulla   testa del feto fino a 15 Kg. La pompa è collegata con un recipiente di 600 cc che funziona come «riserva di vuoto».

Il tutto è smontabile nelle singole parti per la pulizia e la sterilizzazione (la sterilizzazione è necessaria per il sistema di trazione e ancoraggio).

Strumento quasi del tutto innocuo per il feto (nel punto di applicazione residua un leggero edema circolare che si riassorbe in pochi giorni) se applicato correttamente, permette di accelerare l’estrazione del feto. Ma, diversamente dal forcipe, la ventosa non possiede l’azione riducente sui diametri della testa fetale e  l’azione ruotante non è sempre garantita (10-16).

Frequenza di applicazione: in Italia la ventosa viene applicata nel 3% dei parti, in Canada  nel 4.5% dei parti mentre in Gran Bretagna la ventosa viene applicata nel 10% dei parti.

  Le condizioni permittenti alla applicazione della ventosa ostetrica consistono:

  1. dilatazione completa (l’uso a dilatazione incompleta per superare eventuali distocie del collo è ormai superata in  quanto pericolosa per la madre e per il feto);
  2. membrane rotte;
  3. impegno della testa fetale (piano 0 bis-ischiatico/piano 1-5) : per quanto numerosi AA. riferiscano la possibilità dell’applicazione a testa mobile, è consigliabile astenersi dall’uso dello strumento quando la testa non sia perlomeno giunta al medio scavo. Infatti, a parte i maggiori rischi delle applicazioni alte, bisogna sempre sospettare l’esistenza di una sproporzione  se non è avvenuto l’impegno alla dilatazione di 5-6 cm (16-25).

Indicazioni:

Le indicazioni fondamentali che portano all’applicazione della ventosa ostetrica di Malmström sono rappresentate da:

  • Inerzia e ipocinesia uterina accentuata: l’evenienza più comune è che si tratti di un’ipotonia secondaria, che provochi l’arresto del parto nel periodo espulsivo: in questo caso la ventosa dà di solito risultati migliori della fleboclisi con ossitocina. Anche in alcune ipodinamie primitive l’associazione ossitocici-ventosa all’inizio del periodo espulsivo abbrevia notevolmente il parto.
  • Prolungamento eccessivo del II° stadio del travaglio: >2 ore nelle nullipare e >1 ore nelle pluripare; 2 e 3 ore rispettivamente se si ricorre all’analgesia epidurale.
  • Sofferenza fetale modesta o incipiente: in cui è preferibile prevenire l’aggravarsi della sofferenza con un intervento elettivo, piuttosto che dover espletare di urgenza il parto adoperando  il forcipe, quando l’episodio acuto si è già manifestato.
  • Parto prolungato: in presenza di un parto che si prolunghi per troppo ore è giustificato intervenire con la ventosa a patto che sussistono le condizioni permettenti. Particolarmente nel caso dell’arresto della testa a +3 /+4, il protrarsi del periodo espulsivo costituisce un fattore nettamente sfavorevole sia per la madre (compressione vescicale, lesioni delle parti molli) che per Il feto (pericolo di ipossia); in questo caso la ventosa profilattica deve essere applicata anche in assenza  di segni evidenti di sofferenza fetale.
  • Precedenti interventi isterotomici: Alcune donne precedentemente sottoposte a taglio cesareo, e nelle quali non si rilevi un’evidente stenosi pelvica, l’applicazione della ventosa è utile per rendere più rapido il parto ed evitare alla donna i premiti espulsivi. Uguale considerazione si applica per le pazienti sottoposte precedentemente a interventi di miomectomia o metroplastiche o interventi sulle pareti uterine condotte sotto guida isteroscopica o celioscopica.
  • Malattie intercorrenti: le più frequenti sono le cardiopatie scompensate o con minaccia di scompenso. Sebbene le cardiopatiche abbiano di solito un parto rapido, è conveniente evitare loro sforzi del periodo espulsivo mediante l’applicazione della ventosa. Altrettanto può dirsi per l’eclampsia, soprattutto nei casi in cui la donna, essendo sottoposta a terapia con ganglioplegici,  è in stato di anestesia completa o incompleta ed ha una dinamica uterina scarsa o nulla. Anche le affezioni acute dell’apparato respiratorio, come la polmonite, le malattie acute e gli stati di severo esaurimento sono una valida indicazione.
  • Anestesia e/o analgesia locale o generale:  per effetto dell’anestesia la partoriente non è in grado di esercitare sforzi espulsivi efficaci oppure  si desidera ridurre il tempo durante il quale il feto è esposto all’azione degli anestetici; quando si desidera espletare il parto prima che termini l’azione dell’anestetico.
  • Febbre intra-partum: una febbre intra-partum che superi i 38 °C denuncia una infezione amniotica, grave sia per la madre che per il feto. In questi casi è norma costante cercare di abbreviare il parto. Se non esistono le condizioni permettenti per un’applicazione di forcipe la ventosa si è dimostrata molto utile (26-33).

  Ventosa di prova: alcuni ricorrono alla ventosa per stabilire veramente se esiste una sproporzione feto-pelvica (ventosa di prova). Nella situazione in cui la testa si è arrestata all’altezza del secondo piano di Hodge, a dilatazione completa, si può ricorrere alla ventosa che molto spesso porta all’impegno della testa evitando così un taglio cesareo (34-37).

Controindicazioni: consistono essenzialmente nell’assenza delle condizioni già enunciate; esse sono (38-47):

  • suscettibilità di evoluzione spontanea del parto; molto spesso anche le ipodinamie primitive evolvono favorevolmente con l’aiuto dell’infusione ossitocica;
  • evidente sproporzione feto-pelvica;
  • testa ballottante al di sopra dello stretto superiore;
  • presenza di sofferenza fetale acuta;
  • presentazioni cefaliche deflesse (ad es. di faccia);
  • presentazione podalica;
  • insufficiente dilatazione del collo dell’utero;
  • prematurità del feto; in questo caso la ridotta resistenza della testa fetale può comportare gravi lesioni in caso di applicazione della ventosa.

Controindicazione relativa  Morte fetale: non è una controindicazione assoluta a meno che non si tratti di un feto macerato su cui la ventosa non può fare presa. Tuttavia anche in caso di morte fetale recente  l’adesione della ventosa alla testa fetale non è molto buona.

La ventosa quindi va applicata solo sul vertice o sul bregma; tuttavia eccezionalmente può essere usata anche per il disimpegno di una presentazione di fronte nel caso di feto piccolo o bacino ampio.

  b) Tecnica

Si sceglie la ventosa in base al grado di dilatazione della bocca uterina dando la preferenza alla coppetta col maggior diametro compatibile con tale dilatazione; poichè è preferibile limitarsi ai casi in cui la testa è impegnata e la dilatazione è completa o quasi, si userà quasi sempre la ventosa più grande.

Con la paz. in posizione litotomica e con le natiche al limite del lettino, si introduce in vagina la ventosa disponendola un pò obliquamente, poi la si porta in contatto con la zona più bassa della parte presentata fetale badando a non comprendere i tessuti molli materni fra parte presentata e bordo della coppetta. Nella presentazione di vertice, la coppetta andrà applicata sulla linea mediana e a 3 cm dalla fossetta posteriore (punto di flessione).

Si comincia quindi a creare lentamente la depressione all’interno della coppetta, procedendo per gradi (di -0,2 in -0,2 atmosfere) e impiegando 2-3 minuti circa per raggiungere la depressione massima  di -0,8 / -0,9 Atm.

Sotto l’azione della depressione si forma sul cuoio capelluto fetale una tumefazione edematosa «ex vacuo»  che richiede un certo tempo per modellarsi nel contorno concavo della coppetta assumendo una forma a “coup de chiffon”.

Applicata la coppetta e creato il vuoto, si penetra con la mano sinistra in vagina e si controlla ancora una volta che non siano state risucchiate parti molli materni fra coppetta e testa fetale, quindi si applicano l’indice e il medio divaricati lungo il contorno superiore della coppetta mentre con il pollice si preme leggermente sulla superfice della coppetta medesima. Questa disposizione delle dita ha lo scopo di fornire un controllo tattile immediata della buona adesione della coppetta e consente di graduare le trazioni.

La trazione viene effettuata dall’operatore seduto in modo da avere le mani ad un livello decisamete inferiore rispetto al piano del lettino ostetrico. La trazione deve essere esercitata in direzione dell’asse pelvico e perpendicolarmente al piano d’attacco della coppetta, cioè in basso e posteriormente.   La coppetta più grande sopporta una forza di trazione perpendicolare di non più di 15 Kg, mentre le coppette più piccole sopportano trazioni proporzionalmente minori. Ogni deviazione della forza di trazione dalla perpendicolare al piano della coppetta riduce in modo sensibile l’efficacia dell’ancoraggio della testa fetale e, di conseguenza, facilita il distacco per strappo dello strumento. Il distacco è annunciato da un sibilo e da discontinuità della trazione. La trazione deve essere  sincrona con le contrazioni uterine.  La prima trazione provoca la flessione della testa ed un po’ di discesa; la seconda e la terza trazione dovrebbero portare la testa fetale al piano perineale (+5). 

Se non vi sono controindicazioni o condizioni di impossibilità, la partoriente verrà invitata ad uno sforzo espulsivo mentre il medico esercita la trazione; quando poi la testa è giunta al piano perineale un’assistente potrà anche eseguire in modo dolce e graduale la manovra di Kristeller in concomitanza con la spinta uterina.

Sotto l’azione delle trazioni la testa fetale tende a compiere spontaneamente il movimento della rotazione interna; se l’occipite ruota verso il sacro, è preferibile lasciare che si completi la rotazione pervertita e poi disimpegnare la testa in posizione occipito-sacrale; di solito, però, la rotazione interna viene verso l’avanti come nel parto spontaneo fisiologico.

Quando l’occipite affiora alla rima vulvare, le trazioni, che prima erano dirette in basso e posteriormente, devono essere dirette progressivamente verso l’alto per facilitare la deflessione della testa. In questa fase l’operatore si alza in piedi e  con l’altra mano sostiene il perineo.

L’espulsione della testa può anch’essa giovarsi dell’ausilio della ventosa o esplicarsi spontaneamente (48-67).

Per distaccare la coppetta si consiglia di aprire poca alla volta la valvola dello strumento in modo da non provocare brusche variazioni di pressione sui tessuti fetali.

c) Complicazioni:

L’applicazione della ventosa ostetrica provoca, di necessità, la formazione sulla testa fetale di un voluminoso rigonfiamento, analogo nella sua genesi al tumore da parto fisiologico che scompare pertanto entro poche ore. Vere e proprie lesioni fetali, che possono verificarsi anche con la tecnica più corrette sono i cefalo-ematomi (circa nei 6% dei casi) e le abrasioni superficiali del cuoio capelluto. I cefalo-ematomi provocati dalla ventosa, come quelli spontanei, guariscono anch’essi in pochi giorni senza alcun trattamento. Invece, le abrasioni cutanee devono essere ben protette perchè, se si infettano, possono dare origine ad aree di alopecia anche molto estese.

Complicazioni fetali più gravi, (flemmoni cefalici, frattura del parietale, emorragie intracraniche) sono possibili ma molto rare se la tecnica dell’intervento è stata appropriata.

Il motivo della scarsa lesività della ventosa ostetrica dipende verosimilmente dal fatto che la trazione viene distribuita in modo uniforme su tutte le pareti molli pericraniche, perchè queste sono abbastanza mobili rispetto al tavolato osseo sottostante. Per tale motivo nemmeno l’applicazione della ventosa in corrispondenza delle fontanelle sembra che possa esercitare ripercussioni  negative su tessuti intracranici.

Tuttavia, per prudenza, molti consigliano di evitare l’applicazione della ventosa sulla grande fontanella (pertanto, la presentazione di bregma sarebbe una controindicazione relativa).

Quando vi sono traumatismi, essi sarebbero quindi imputabili alle modificazioni plastiche prodotte sulla testa dal passaggio attraverso il canale del parto più che all’azione diretta della ventosa. La lentezza dell’estrazione, di conseguenza, è un fattore fondamentale per ridurre i rischi, poichè consente di sfruttare la capacità di adattamento plastico della testa fetale in modo molto simile a quanto avviene nel parto spontaneo (68-72).

  I rischi fetali sono ovviamente più alti quando l’estrazione viene iniziata su testa non ancora impegnata, ma diminuiscono sensibilmente quando l’estrazione viene iniziata ad impegno avvenuta. Infine sono pressocchè inesistenti  quando la testa è alla parte bassa dello scavo. Dal punto di vista dei rischi fetali, in linea generale si può quindi dire che, prima dell’impegno della parte presentata, è preferibile eseguire il taglio cesareo, anche se sono realizzate le condizioni permittenti per l’estrazione con la ventosa; quando la testa fetale è impegnata, ma non ancora raggiunto la parte bassa dello scavo, è senz’altro preferibile la ventosa ostetrica ogni volta che sono realizzate le condizioni permittenti (il taglio cesareo sarebbe eccessivo, il forcipe è controindicato); alla parte bassa dello scavo forcipe e ventosa si equivalgono  (73-76).

I rischi materni della ventosa ostetrica sono legati alla possibilità di provocare vaste lacerazioni vaginali quando inavvertitamente si afferra una piega di tessuto materno fra ventosa e testa fetale o quando la ventosa si distacca per strappo. Similmente si possono provocare vaste lacerazioni cervicali quando si tenta di forzare la discesa della testa a dilatazione incompleta senza dare il tempo ai tessuti cervicali di distendersi progressivamente (78-93).

E’ comunque utile praticare sistematicamente un’ampia episiotomia per eliminare resistenza del pavimento pelvico ed evitare lacerazioni inutilmente traumatiche all’atto del disimpegno.

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