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Fibrillazione atriale

Da dottvolpicelli

Si parla di fibrillazione atriale quando si riscontrano contrazioni atriali irregolari e scoordinate.

CLASSIFICAZIONE –  Esistono tre diversi tipi di fibrillazione atriale:

  • parossistica: perdura per alcuni minuti o ore  fino a un massimo di una settimana  e termina spontaneamente. Se non curata, la FAP con il tempo aumenta in frequenza e durata.
  • persistente: la fibrillazione atriale persiste per oltre 7 giorni;
  • permanente o cronica: la fibrillazione atriale è cronicizzata in seguito alla scelta dei sanitari di rinunciare  a ulteriori tentativi di stabilizzare il ritmo.

FATTORI DI RISCHIO –  Tra le condizioni che predispongono alla fibrillazione atriale ci sono:

  • ipertensione arteriosa;
  • malattia coronarica
  • precedente infarto del miocardio
  • valvulopatie, in particolare della mitrale
  • cardiopatie congenite
  • scompenso cardiaco congestizio
  • pericardite
  • ipertiroidismo
  • ipopotassiemia
  • obesità
  • disturbi del sonno.

La FA si manifesta più frequentemente in quelle situazioni nelle quali si verifica un aumento di pressione intra-atriale come nel caso di ipertrofia ventricolare e/o ipertensione arteriosa.  Questo aumento di pressione induce un’instabilità elettrica: compaiono battiti prematuri (extrasistoli atriali) e aumenta la probabilità che questi inneschino la fibrillazione atriale. Se queste condizioni di sovraccarico persistono nel tempo, la struttura stessa degli atri si modifica: gli atri aumentano di volume e parte della loro parete muscolare viene sostituita da tessuto fibroso, la condizione ideale perché la fibrillazione atriale si mantenga, diventando persistente. Quindi si instaura un circolo vizioso per cui la FA favorisce e perpetua sé stessa.

FISIOPATOLOGIA – La fibrillazione atriale, in pazienti affetti dalle suddette patologie o in quelli predisposti all’insorgenza dell’aritmia, viene innescata da alcuni impulsi elettrici anomali, provenienti da cellule cardiache che si trovano nelle fibre muscolari presenti nel primo tratto delle vene polmonari (trigger). Le vene polmonari sono condotti venosi che portano sangue ossigenato dai polmoni all’atrio sinistro. L’area maggiormente coinvolta nella genesi della fibrillazione atriale è costituita dai segmenti della giunzione vena-atrio, dove risiedono frequentemente i foci aritmogeni.

FREQUENZA – La fibrillazione atriale (FA) è l’aritmia più diffusa (1-2%) nella popolazione generale, tende a presentarsi più  frequentemente con l’avanzare dell’età ma può verificarsi anche in soggetti giovani e sani.

SINTOMATOLOGIA – I principali sintomi della FA sono:

  • Palpitazioni: percezione di un battito cardiaco accelerato o irregolare. Vengono spesso descritte come “batticuore”
  • Astenia:
  • scarsa tolleranza allo sforzo fisico
  • Dispnea: soprattutto sotto sforzo.
  • Dolore o peso al torace:
  • Raramente possono comparire vertigini, sensazioni di mancamento o perdita di coscienza (sincope).
  • Il polso è irregolare con perdita di onde a al polso venoso giugulare. Può essere presente un deficit di polso (la frequenza ventricolare rilevata mediante auscultazione cardiaca è maggiore della frequenza rilevata al polso) perché il volume di eiezione sistolico ventricolare sinistro non è sempre sufficiente a produrre un’onda pressoria periferica per un battito strettamente accoppiato al battito precedente.

INDAGINI DIAGNOSTICHE –

Le principali indagini sono:

  1. Esami ematici di funzione tiroidea, funzione renale ed elettroliti.
  2. Ecocardiogramma.
  3. Holter ECG dinamico 24-48 ore.
  4. Impianto di Loop recorder, ossia un dispositivo sottocutaneo, tipo microchip che registra continuamente il battito cardiaco.
  5. Test da sforzo.

ECG –  La FA è caratterizzata all’elettrocardiogramma da assenza di onde P distinte (segno dell’attivazione atriale),  dalla presenza di onde f e intervalli RR completamente irregolari. La diagnosi differenziale va praticata  con   il flutter atriale e le extrasistoli.

Aritmia:  Intervalli R-R irregolari

FREQUENZA CARDIACA: la FC può raggiungere valori di 300-400 bpm. Data l’irregolarità dell’aritmia la frequenza cardiaca viene misurata come “frequenza ventricolare media”, cioè contando tutti i battiti (complessi QRS) nell’arco di un minuto. Oppure  si possono contare il numero di picchi R presenti in sei secondi (sei quadrati grandi, equivalenti in totale a sei secondi) e moltiplicare il risultato per 10. Ad esempio, se in un intervallo di tracciato pari a 6 secondi si trovano 7 onde R, si può stimare che il cuore batta al ritmo di 70 pulsazioni al minuto (7 x 10 = 70).

COMPLICAZIONI – Se la frequenza cardiaca è particolarmente elevata e l’aritmia persiste per settimane o mesi è possibile che

  1. la forza di contrazione del cuore si riduca progressivamente, i ventricoli si dilatino e sopravvenga un quadro di insufficienza cardiaca (scompenso).
  2. Inoltre, negli atri fibrillanti (e in particolare nelle “auricole”) il sangue tende a ristagnare invece di essere espulso dalla normale contrazione. Si creano quindi le condizioni per la formazione di trombi che possono migrare in circolo come emboli. Particolarmente pericolosi sono gli emboli rilasciati dall’atrio sinistro perché possono raggiungere il circolo cerebrale e provocare ictus.

TERAPIA – il ripristino del ritmo sinusale (cardioversione) avviene spontaneamente nel 60% dei casi nelle prime ore dopo l’episodio acuto.   Qualora un episodio di FA non regredisse spontaneamente, sarà necessario intervenire con farmaci antiaritmici come propafenone (Rytmonorm® cpr 150, 300 mg; fl ev 70 mg/20 ml), flecainide (Almarytm® fl 150 mg/15 ml) o con la  cardioversione elettrica.  

In caso di concomitante presenza di cardiopatie strutturali, soprattutto riduzione della contrattilità, si utilizza amiodarone (Cordarone fiale 150 mg 3 ml ev) in alternativa a propafenone (Rytmonorm® cpr 150, 300 mg; fl ev 70 mg/20 ml) e flecainide (Almarytm® fl 150 mg/15 ml) perchè questi ultimi causano un’importante riduzione della contrattilità.

Cardioversione elettrica

Ablazione transcatetere

In caso di frequenti recidive è possibile eseguire il trattamento di ablazione della fibrillazione atriale. L’ablazione transcatetere è una procedura interventistica cardiaca che ha lo scopo di eliminare i foci atriali che generano l’insorgenza di fibrillazione, eliminando la necessità di assumere farmaci antiaritmici. L’ablazione viene eseguita in regime di ricovero ospedaliero, in una sala operatoria dedicata, in anestesia locale o totale. Durante la prima parte della procedura viene effettuato lo studio dell’aritmia (studio elettrofisiologico), eseguito mediante l’introduzione nelle cavità cardiache di speciali sonde diagnostiche (elettrocateteri multipolari) con i quali si esegue un mappaggio elettrico della fibrillazione atriale. L’accesso al sistema cardiocircolatorio avviene mediante la puntura della vena femorale; attraverso questa vena vengono posizionati gli elettrocateteri e i sistemi di ablazione. La procedura di ablazione si esegue infatti mediante uno di questi elettrocateteri, che viene avanzato in atrio sinistro mediante una tecnica particolare (accesso atriale sinistro con puntura transettale). L’elettrofisiologo utilizzando il catetere ablatore, esegue delle piccole cauterizzazioni, di dimensioni millimetriche, a livello delle aree responsabili dell’insorgenza di fibrillazione atriale, creando delle vere e proprie linee di barriera contro l’insorgenza e la propagazione della fibrillazione atriale: isolamento elettrico delle vene polmonari. La navigazione all’interno delle camere cardiache avviene con l’ausilio di sistemi di mappaggio 3D, che permettono di aumentare il livello di precisione della procedura ablativa e di ridurre la quantità di raggi X utilizzati. Una volta raggiunto l’isolamento elettrico delle vene polmonari si valida la procedura mediante stimolazione da vena e da atrio: raggiunto il blocco bidirezionale la procedura si ritiene conclusa.

References:

  1. European Society of Cardiology, 2016 ESC Guidelines for the management of atrial fibrillation developed in collaboration with EACTS, in European Heart Journal, vol. 37, n. 38.

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