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Antiaritmici farmaci

Da dottvolpicelli

L’aritmia è un’alterazione che si verifica nella sequenza di attivazione dell’impulso elettrico che provoca la contrazione del miocardio.

Il ritmo cardiaco, normalmente, è controllato da un sito peacemaker definito nodo seno-atriale e costituito da cellule specializzate che si contraggono generando potenziali d’azione.
La velocità di contrazione cardiaca a riposo dovrebbe essere compresa fra 60 e 100 bpm. Se la velocità sinusale è inferiore a questo intervallo, si può parlare di bradicardia; al contrario, se la velocità sinusale è superiore ai suddetti valori, allora si parla di tachicardia. Ad ogni modo, in questi casi si parla sempre e comunque di aritmie cardiache, sia che siano di tipo bradicardico, sia che siano di tipo tachicardico.
I farmaci antiaritmici ad oggi impiegati in terapia possono essere suddivisi in varie classi, in funzione dell’effetto che essi esercitano nei confronti del potenziale d’azione delle cellule del miocardio.

Potenziale d’azione cardiaco

Le cellule del miocardio si contraggono generando un potenziale d’azione, il cui andamento, in condizioni normali, è assolutamente prevedibile. Il sopra citato potenziale d’azione cardiaco può essere suddiviso in cinque fasi:

  • Fase 0 o fase di depolarizzazione rapida: in questa fase la permeabilità della membrana cellulare per gli ioni sodio aumenta, consentendo la rapida entrata di questo catione all’interno della cellula e provocando una rapida depolarizzazione. Quando la cellula cardiaca è a riposo, infatti, il potenziale interno della membrana è più elettronegativo rispetto a quello esterno (questo viene definito come potenziale di membrana a riposo). Quando arriva l’impulso e si entra nella fase zero, invece, si assiste ad una rapida inversione del potenziale di membrana interno, che diventa positivo rispetto all’esterno.
  • Fase 1: nella fase 1 si riduce la permeabilità della membrana agli ioni sodio e si assiste all’entrata di ioni cloro all’interno della cellula e all’uscita di ioni potassio.
  • Fase 2: la fase 2, anche definita fase plateau, è caratterizzata da un lento ingresso all’interno della cellula di ioni calcio, controbilanciata dalla fuoriuscita di ioni potassio. Questa fase viene definita plateau proprio perché vi è un cambiamento minimo o nullo del potenziale di membrana.
  • Fase 3: in questa fase la velocità di ingresso degli ioni calcio rallenta in concomitanza ad un continuo efflusso di ioni potassio. Tutto ciò riporta la membrana all’iniziale potenziale di riposo.
  • Fase 4: in questa fase, infine, si assiste al ripristino delle concentrazioni ioniche all’interno e all’esterno della cellula, grazie all’azione della pompa Na+/K+ ATPasi di membrana.

Riassumendo brevemente, possiamo affermare che il potenziale d’azione è generato da un’iniziale entrata di ioni sodio nella cellula cardiaca, seguita poi dall’ingresso del calcio e, infine, dall’uscita del potassio che riporta il potenziale d’azione alla condizione di riposo.

Antiaritmici di classe I

Gli antiaritmici appartenenti alla classe I esplicano la loro azione attraverso il legame e il conseguente blocco dei canali del sodio. Questi antiaritmici possono essere a loro volta suddivisi in sottoclassi. Pertanto, possiamo distinguere:

  • Antiaritmici di classe IA: i principi attivi appartenenti a questa classe di antiaritmici bloccano il canale del sodio inibendo la fase 0 di depolarizzazione rapida, prolungando in questo modo il potenziale d’azione. Questo tipo di antiaritmici si dissocia dai canali del sodio con una velocità intermedia. Appartengono a questa classe, principi attivi quali la chinidina, la disopiramide e la procainamide.
  • Antiaritmici di classe IB: gli antiaritmici appartenenti a questa classe agiscono sempre bloccando i canali del sodio, ma si dissociano da questi ultimi molto più velocemente rispetto agli antiaritmici di classe IA e danno origine a una breve fase 3 di ripolarizzazione, riducendo in questo modo anche la durata del potenziale d’azione. Grazie alla loro rapida insorgenza d’azione, vengono impiegati soprattutto nei casi d’emergenza.
    Appartengono a questa classe di antiaritmici la lidocaina (efficace solo se somministrata per via parenterale), la tocainide, la mexiletina e la fenitoina.
  • Antiaritmici di classe IC: questi antiaritmici possiedono una bassa velocità di dissociazione dai canali del sodio e danno origine ad una fase 0 di depolarizzazione iniziale molto lenta.
    Appartengono a questa categoria principi attivi come la flecainide (Almarytm® 150 mg/15 ml fl ev), il propafenone (Rytmonorm® cpr 150, 300 mg; fl ev 70 mg/20 ml) e la moricizina.

Effetti collaterali

Trattandosi di una classe piuttosto eterogenea, gli effetti collaterali derivanti dall’uso di antiaritmici di classe I possono variare di molto, in funzione sia del tipo di principio attivo scelto, sia della via di somministrazione (parenterale o, dove possibile, orale) che s’intende impiegare.
Ad esempio, i principali effetti collaterali che possono manifestarsi in seguito all’uso di chinidina sono di tipo gastrointestinale (dolore addominale, vomito, diarrea e anoressia), mentre i principali effetti indesiderati derivanti dall’utilizzo di lidocaina per via parenterale consistono in vertigini, deliri, parestesia e confusione.

Antiaritmici di classe II

Gli antiaritmici di classe II sono principi attivi ad azione β-bloccante. Più nel dettaglio, tali principi attivi sono in grado di bloccare i recettori β1 adrenergici presenti a livello cardiaco. La stimolazione di questi recettori, infatti, provoca un aumento della frequenza, della contrattilità e della velocità di conduzione dell’impulso delle cellule del miocardio.
Il blocco di questo tipo di recettori, invece, provoca un blocco dell’afflusso di ioni calcio all’interno della cellula, inducendo così una ripolarizzazione prolungata Appartengono a questa classe di farmaci antiaritmici principi attivi quali il propranololo (Inderal®), carvedilolo (Dilatrend®), il sotalolo, il nadololo, l’atenololo (Lobivon®), l’acebutololo e il pindololo.

Effetti collaterali

Anche in questo caso il tipo di effetti indesiderati che si possono manifestare dipende molto dal principio attivo utilizzato e dalla sensibilità di ciascun paziente nei confronti del farmaco.
Ad ogni modo, i principali effetti collaterali derivanti dall’assunzione di antiaritmici ad azione β-bloccante, sono: dispnea, mal di testa, vertigini, affaticamento, bradicardia e sindrome di Raynaud.

Antiaritmici di classe III

Gli antiaritmici di classe III sono principi attivi che esplicano la loro attività tramite l’inibizione della ripolarizzazione delle membrane delle cellule cardiache. Più nel dettaglio, questi antiaritmici interferiscono con la fase 3 del potenziale d’azione attraverso il blocco dei canali del potassio.
Appartengono a questa classe di antiaritmici l’ibutilide e l’amiodarone (Cordarone fl ev).
Il principale effetto collaterale derivante dall’uso di questa tipologia di antiaritmici è l’ipotensione, compresa quella di tipo ortostatico.

Antiaritmici di classe IV

Gli antiaritmici di classe IV esercitano la loro attività attraverso il blocco dei canali del calcio, calcio-antagonisti, dando così origine ad una lenta fase di ripolarizzazione della membrana cellulare.
Fra i vari principi attivi appartenenti a questa classe di antiaritmici ricordiamo il verapamil (Isoptin®) e il diltiazem.
Gli effetti collaterali che possono insorgere in seguito all’assunzione di antiaritmici di classe IV consistono sostanzialmente in ipotensione, confusione, mal di testa, edema periferico, edema polmonare e, in alcuni casi, costipazione.

Altri farmaci antiaritmici

Vi sono altri farmaci ad azione antiaritmica che non rientrano nella classificazione appena effettuata. È questo, ad esempio, il caso dell’adenosina e dei glicosidi digitalici.
L’adenosina è un nucleoside che può essere utilizzato – agli opportuni dosaggi e per via endovenosa – nel trattamento delle tachicardie parossistiche sopraventricolari. L’adenosina esplica la sua azione agendo direttamente sul nodo atrioventricolare del cuore.
Fra i glicosidi digitalici, invece, ricordiamo la digossina, un principio attivo impiegato soprattutto nel trattamento della fibrillazione e del flutter atriale. La digossina esercita la sua attività antiaritmica attraverso l’inibizione della pompa Na+/K+ ATPasi di membrana, con conseguente aumento dei livelli di sodio intracellulare.

References:

  1. European Society of Cardiology, 2016 ESC Guidelines for the management of atrial fibrillation developed in collaboration with EACTS, in European Heart Journal, vol. 37, n. 38.

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