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ALIMENTI AMIDACEI

Da dottvolpicelli

Con il termine “alimenti amidacei” vengono raggruppati diversi alimenti e prodotti alimentari caratterizzati dalla generosa presenza di amido, il carboidrato di riserva tipico del mondo vegetale. Le piante accumulano amido come riserva energetica per fronteggiare l’inverno o per consentire la germinazione del seme ed il successivo sviluppo della pianticella. AmidaceiTra i più noti alimenti amidacei si ricordano le patate, la manioca, il frumento, mais, riso, orzo, avena, farro e i prodotti da loro derivati (pasta, pane bianco, riso bianco, mais, farina, fecola, biscotti, grissini, polenta). Anche i legumi rappresentano una buona fonte di amido, nonostante che siano classificati come alimenti proteici dato il loro elevato contenuto di proteine.

Nell’uomo, l’amido  rappresenta l’alimento energetico preponderante. La masticazione e la digestione trasformano l’amido nei singoli zuccheri che lo costituiscono, ovvero nelle singole unità di glucosio che – intrecciate tra loro attraverso legami lineari e ramificati – danno origine all’amido. A livello intestinale, il glucosio derivante dall’amido viene assorbito e immesso in circolo, quindi viene utilizzato dalle cellule per i relativi processi metabolici, oppure immagazzinato come riserva energetica a breve (depositi di glicogeno nei muscoli e nel fegato) o a lungo termine (conversione in trigliceridi a livello epatico e adiposo). Ne consegue che un eccessivo consumo di alimenti amidacei protratto nel tempo, specie in assenza di un’attività fisica regolare ed impegnativa, è responsabile di sovrappeso, obesità, insulino-resistenza e diabete.

Troppi alimenti amidacei, specie se cotti a lungo, raffinati o lavorati a livello industriale, provocano picchi di iperglicemia e quindi sono potenzialmente responsabile – nel lungo periodo – dell’insorgenza del diabete di tipo 2. Inoltre, ai picchi di iperglicemia segue un’ipersecrezione di insulina che provoca un rimbalzo negativo dei livelli glicemici (la cosiddetta ipoglicemia reattiva postprandiale), che stimola il centro ipotalamico della fame. Si entra così in una sorta di circolo vizioso che – specie negli individui già in sovrappeso e sedentari – porta alla nuova ingestione di alimenti amidacei raffinati e all’inevitabile aumento di peso.

E’ bene ricordare che le fonti amidacee naturali non contengono soltanto amido, ma anche gli altri nutrienti necessari alla pianta e alla germinazione del seme: proteine, vitamine, sali minerali, grassi insaturi, e fibre. La maggior parte di questi nutrienti viene perduta nei processi di raffinazione, che hanno lo scopo di migliorare l’appetibilità, la digeribilità e la conservazione degli alimenti amidacei. In seguito a tale pratica, tuttavia, si ottengono prodotti di calorie e poveri di nutrienti essenziali, come vitamine e sali minerali.

In definitiva, gli alimenti amidacei devono rimanere i pilastri dell’alimentazione umana ma occorre moderarne il consumo dando più spazio a verdure fresche e a proteine magre, e preferire, almeno in un pasto quotidiano, gli alimenti integrali a quelli raffinati. La “moderna” dieta mediterranea  si basa sul consumo prevalente di alimenti amidacei, ma anche di pesce, proteine magre e “grassi buoni”, come quelli del pesce o dell’olio di oliva.

Alimenti amidacei e acrilamide – l’acrilamide è una sostanza che si forma naturalmente nei prodotti amidacei cotti ad alte temperature (forno, frittura, griglia). La serie di processi che produce l’acrilamide è detta “reazione di Maillard” e conferisce al cibo il caratteristico sapore di abbrustolito che conferisce una particolare sapidezza al cibo. Particolarmente l’acrilamide è presente nelle patatine fritte. L’EFSA (Europea Food Safety Authoriry) nel giugno 2015 ha emanato un parere scientifico, basato su studi effettuati sugli animali, in cui afferma che l’acrilamide presenta potenzialità oncogene.   La scelta del metodo di cottura influisce in maniera determinante sulle percentuali di acrilamide presente negli alimenti. 

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