distress respiratorio (Respiratory Distress Syndrome Archivio

Gravidanza

Posizioni della donna in travaglio di parto

Posizioni della partoriente in travaglio e in periodo espulsivo 

La posizione da tenere durante il travaglio  e il parto è una scelta assolutamente soggettiva e coerentemente tutte le strutture di ricovero dovrebbero consentire alla partoriente massima libertà di movimento e di posizione anche durante il periodo espulsivo. Ma soprattutto in quest’ultima fase sorgono resistenzae da parte degli operatori poco abituati ad assistere al parto con la paziente messa in posizioni diverse dalla litotomica.  

Una buona mediazione può essere quella della sedia da parto multifunzione, che garantisce la posizione  semiseduta alla donna e la giusta altezza per controllare il piano perineale da parte dell’operatore.

Lo sgabello olandese è una struttura ridotta all’essenziale, leggera, facile da pulire, che può essere facilmente spostata pur assicurando una funzionalissima posizione accovacciata. Dimensioni: 48,5×40 con un’altezza di 33 o 38 cm. 

Lo sgabello olandese è stato progettato ed ampiamente utilizzato per sostenere le donne in posizione accovacciata e in posizione seduta sia in travaglio che nella fase espulsiva. La posizione accovacciata è tra le più tradizionali, usata dalle partorienti da tempo immemore.  Accovacciarsi con i talloni che toccano terra e le ginocchia divaricate in una posizione che ricorda una rana, apre il bacino e il bambino ha il massimo spazio possibile per scendere.

Lo sgabello è utilizzato da circa 30 anni in molti ospedali e nell’assistenza domiciliare del parto.  La lunga esperienza delle ostetriche olandesi suggerisce che lo sgabello può essere utilizzato in travaglio attivo, alternando spesso la posizione seduta a posizioni erette come camminare, dondolare o  piegarsi in avanti a carponi per mantenere una buona irrorazione dei tessuti. Durante la fase espulsiva la donna può essere sostenuta da dietro dal partner che sarà seduto su una normale sedia. In questo modo la donna ha la possibilità di ricevere sostegno fisico per potersi appoggiare durante le pause e vicinanza che infonde rassicurazione ed incoraggiamento.

Numerosi studi hanno evidenziato che la posizione eretta è risultata preferita dalle donne che l’avevano già sperimentata. Consente maggiore libertà di movimento ed una maggiore sopportazione del dolore.

E’ stato anche dimostrato che quando il parto avviene in posizione eretta il feto è ossigenato meglio e presenta minor rischio di ipossia.

II parto può essere effettuato anche in posizione laterale, preferibilmente sinistra (come pra­ticato in molte cliniche inglesi); in tale ultimo caso la gamba destra della partoriente  è tenuta sollevata. E’ indicata nella fase espulsiva per rallentare un parto precipitoso e diminuire l’intensità dei dolori. 

La posizione “carponi” è indicata in caso di rotazione sacrale dell’occipite in periodo espulsivo e per alleviare il mal di schiena. Consiste nel mettersi a quattro zampe con le mani distanziate alla larghezza delle spalle prestando particolare attenzione a non inarcare la schiena. Da questa posizione facilmente verrà poi spontaneo piegarsi in avanti appoggiando gli avambracci sul pavimento. Anche questa posizione per la sua prerogativa di allontanare il bimbo dalla colonna vertebrale aiuta ad alleviare il dolore alla schiena. Importante può rivelarsi a questo proposito divaricare le ginocchia in modo che l’addome rimanga come sospeso tra esse.  

In ginocchio: è consigliabile soprattutto in caso di occipito posteriore. La paziente si  appoggia a una sedia o alle spalle del  compagno. E’ una posizione consigliata anche nel travaglio normale perché sembra ridurre il dolore rispetto alla posizione seduta, perché permette di trasferire la pressione della spinta verso la parte inferiore della colonna vertebrale.

Posizione litotomica: Il nome deriva da “litotomia”, una procedura volta a rimuovere i calcoli vescicali. È una posizione introdotta nella pratica clinica agli inizi del 1800 e tutt’ora largamente utilizzata.  La paziente è sdraiata supina e con le gambe piegate a 90° rispetto ai fianchi. Le ginocchia si curvano a 70 o 90 gradi, e i piedi sono posizionati in due staffe, sopra il livello dei fianchi.  E’ la posizione  meno fisiologica e del tutto innaturale, perché fa nascere il bambino verso l’alto, sfidando letteralmente la forza di gravità.  

Se la paziente in travaglio è sdraiata in posizione supina, il bacino è bloccato verso il basso ed ostacola i micromovimenti  di nutazione del sacro e retropulsione coccigea.  Anche la rotazione interna  della parte presentata è ostacolata. La posizione supina prolungata inoltre potrebbe provocare la compressione dell’utero sui grossi vasi addominali (aorta, cava inferiore) ed una diminuzione della ossigenazione fetale.

La posizione litotomica  ovviamente è molto comoda per il monitoraggio del BCF e la somministrazione di anestetici ed è  indispensabile per effettuare eventuali suture di lacerazioni vulvo-vaginali  (1-6).

CONCLUSIONE: nel periodo prodromico e dilatante  la paziente, tranne nel caso di rottura delle membrane prima che la testa del feto si sia impegnata, può scegliere la posizione da assumere e che essa stessa ritiene più confortevole, ma occorre suggerirle di evitare la posizione supina prolungata che potrebbe provocare la compressione dell’utero sui grossi vasi addominali (aorta, cava inferiore) ed una diminuzione della ossigenazione del feto.

Le posizioni migliori sono all’inpiedi o accovacciata (fino a 6 cm di dilatazione). In queste due ultime posizioni occorre che:la paziente sia sempre accompagnata ed eventualmente sorretta dagli operatori o familiari.

Inoltre occorre valutare sempre:

  • l’assenza di presentazione anomala
  • l’assenza di sproporzione feto-pelvica (rapporto tra le dimensioni fetali e i diametri del canale da parto)
  • II grado di distensibilità del piano perineale

References:

  1. Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art. 1 Legge 23.10.1992 n° 421 e successive modifiche.
  2. – Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001 – definizione dei livelli essenziali di assistenza.
  3. Pescetto G., De Cecco L., Pecorari D., Ragni n: Ginecologia e Ostetricia. SEU Ed. Roma, 2009
  4. Guana M., Cappadonna R., DiPaolo A.M., Pellegrini M.G.: La disciplina ostetrica. Teoria, pratica e organizzazione della professione. The McGraw-Hil Ed, Milano 2006.
  5. Grella PV, Massobrio M.,Pecorelli S., Zichella L: Compendio di Ginecologia e OIstetricia. Monduzzi Ed. Bologna, 2006
  6. Colacurci N., Vicario M.: Atlante di Operazioni Ostetriche. 2005
Gravidanza, Novità

Odontostomatologia e gravidanza

STUDIO ODONTOIATRICO POLISPECIALISTICO

DOTT. NINO PICCIRILLO Odontoiatra

DOTT. FABIO EQUITANI Odontoiatra

Caserta Via Ferrarecce 121

tel. 0823-35.18.37   cell. 347-12.17.349     e-mail: ninopiccirillo@libero.it

PATOLOGIA ODONTOSTOMATOLOGICA IN GRAVIDANZA

INTRODUZIONE

Lo stato gravidico è di per sé stesso un fattore di rischio per la salute dentale. Un vecchio detto dice “un dente perso per ogni figlio”; sembra un proverbio della tradizione popolare ma spesso ciò corrisponde ai fatti. I cambiamenti ormonali, l’aumentata percentuale di batteri gram-negativi, la diminuzione del pH delle ghiandole salivari costituiscono una serie di fattori cariogeni o comunque favorenti l’insorgere o l’aggravarsi  di patologie odontostomatologiche.  L’impregnazione ormonale gravidica di HCG, Prolattina, Estrogeni, Progesterone e relaxina raggiunge concentrazioni sieriche e tissutali molto superiori a quelle delle donne non gravide. A livello delle cellule epiteliali gengivali esistono numerosi recettori citoplasmatici per tali ormoni  che creano  un milieu idoneo per insorgenza della gengivopatia  gravidica, molto comune nelle gestanti al II°-III° trimestre. Il progesterone inibisce l’azione dei linfociti T e induce la sintesi di prostaglandine (PGE), mediatori dell’infiammazione, e il rilascio di istamina ed enzimi proteolitici da parte dei mastociti; L’azione degli estrogeni sulle mucose orali si esplica con un ispessimento del tessuto epiteliale con aumentata desquamazione; gli estrogeni aumentano la vascolarizzazione, con conseguenti edema e tendenza alla gengivorragia. La relaxina, agendo sul rilasciamento della muscolatura liscia viene a incidere sulla stabilità del desmodonto favorendo il vacillamento dei denti (1,10).

Le modificazioni salivari:

  • l’aumentata secrezione di mucina favorisce l’adesione dei batteri alla mucosa gengivale (tab. 1).
  • La diminuzione del pH favorisce la proliferazione dei batteri gram-negativi

Due possibili quadri di patologia orale possono essere identificati nella donna in gravidanza: la gengivite e l’epulide gravidica.

1) la gengivite gravidica:   ha una prevalenza che varia dal 35 al 100% e un andamento in relazione a livelli delle gonadotropine ipofisarie FSH  (Ormone Follicolo Stimolante) e LH (Ormone Luteinizzante).  La gengivite aumenta progressivamente dal primo al quarto mese, si mantiene stabile dal quarto all’ottavo mese, per poi regredire nell’ultimo mese. Il suo instaurarsi è favorito dalla

                                 gengivite gravidica

vasodilatazione indotta dagli ormoni e da un viraggio microbiologico a favore degli anaerobi. In particolare Prevotella intermedia ha un notevole incremento nelle donne in gravidanza (12). La  gengivite gravidica è il risultato di una combinazione di stimoli fisiologici, di un aumentata risposta alla placca batterica e di un deficit di vitamina C (10,11) e vitamina D.

Diversi studi hanno dimostrato le funzioni immunosoppressive degli ormoni durante la gravidanza. In questa fase, infatti, si riduce l’attività delle cellule aspecifiche di difesa e dei fibroblasti, ma soprattutto quella dei linfociti T. I linfociti T delle donne in gravidanza hanno una ridotta attività proprio verso Prevotella Intermedia, maggiore responsabile batterico della gengivite gravidica (12).  Tale lesione può essere ridotta sottoponendo la paziente a cicli d’igiene professionale e personale domiciliare  con rigorose metodiche di igiene orale sia mediante una corretta tecnica di spazzolamento, sia con l’ausilio di altri mezzi come il filo interdentale, lo spazzolino interdentale, semplici strumenti per il controllo della formazione della placca batterica negli spazi tra un dente e l’altro. Inoltre è consigliabile in tali periodi l’ausilio di prodotti per il controllo chimico della placca batterica. I migliori, certamente, sono i colluttori a base di Clorexidina, la piu’ efficace sostanza antiplacca, o sciacqui a base di Triclosan. E’ consigliabile anche l’uso di collutorio al fluoro e l’integrazione dietetica con vitamina C e β-carotene che stimolano le proprietà di difesa e di cicatrizzazione gengivale. Non curata, la gengivite gravidica può condurre a formazione di tasche purulenti  parodontali e recessioni gengivali. Clinicamente le modificazioni gengivali riscontrate sono illustrate nella tabella 2.

 2)  epulide gravidica: Le forme di gengiviti più accentuate sono caratterizzate da una proliferazione epiteliale che nelle zone interincisive assume il quadro di una papillite, a volte così sviluppata da essere nota anche come tumore gengivale o epulide gravidica. Quest’ultima è un granuloma piogenico gengivale, indolore, rotondeggiante, sessile o peduncolare, di consistenza elastica o semisolida, di superficie liscia o moriforme, con un colorito che va dal rosa al rosso al violaceo, a seconda della struttura dell’epulide. L’epitelio di rivestimento si presenta talvolta ulcerato, talora ispessito con impronta acantosica. Ha generalmente una forma rotondeggiante raggiungendo anche il volume di una ciliegia. Per quanto riguarda la sua istogenesi si ritiene che il mesenchima del legamento alveolo-dentale sia il punto di partenza. La lesione, sempre in rapporto ad uno o più denti, non invade l’osso sottostante, anche se aumentando volumetricamente può determinare alveolisi, diastemi e mobilità dentale. Sedi frequenti di riscontro sono a carico del mascellare superiore, nell’area compresa tra canino e canino. La sua exeresi è raccomandata solo dopo il parto, quando può regredire riducendosi a una piccola massa fibrosa. La sua rimozione durante la gravidanza può essere indicata solo da un grave deficit estetico o dall’accumulo di placca, ma è caratterizzata da possibili recidive nei mesi successivi.

3)   Iperplasia gengivale: I fattori ormonali hanno proprietà vasoattive stimolano la proliferazione e l’iperplasia gengivale in concomitanza con stimoli di natura infettiva provenienti da denti cariati o da radici necrotiche, oppure stimoli meccanici da otturazioni debordanti nella regione del colletto, da protesi fisse o mobili imperfette o parodontiti a carattere distrofico infiammatorio. Tale lesione può comparire comunque dal 3° mese di gravidanza ed esistono buone possibilità di regressione dopo il parto.

5)    lesioni cariose in relazione alla presenza di determinati fattori, zuccheri e batteri, in grado di promuovere nuove carie o di accelerare il decorso di quelle preesistenti. In passato si pensava che la forte incidenza della carie nella gravida fosse dovuta a sottrazione di sali minerali, costituenti importanti di smalto e dentina, da parte del feto per il suo necessario sviluppo.

INTERVENTI ODONTOIATRICI IN GRAVIDANZA: premesso che la gravidanza induce una minore resistenza allo stress psico-fisico e quindi agli inteventi odontoiatrici, la gravidanza in normale evoluzione non rappresenta una controindicazione al trattamento odontoiatrico. I problemi sorgono in caso di gravidanze a rischio e nei casi in cui è necessario somministrare farmaci, soprattutto nel I° trimestre.  In tal caso  l’intervento odontoiatrico dovrebbe essere rinviato, se possibile, al II° trimestre della gestazione quando possono essere effettuate le operazioni ritenute indispensabili quali: le terapie della carie, le estrazioni e le terapie endodontiche sugli elementi che presentano patologie periapicali. In ogni caso, qualora l’odontoiatra è costretto ad intervenire e si richiede l’impiego dell’anestesia, la scelta dell’anestetico deve essere effettuata con particolare attenzione e richiede una  particolare conoscenza della sostanza impiegata, del suo meccanismo di azione, dei probabili effetti collaterali e della sua capacità di attraversare la barriera placentare. Nel III° trimestre la resistenza allo stress è ancora minore per le aumentate richieste funzionali e alterazioni fisiologiche: ipotensione arteriosa, tachipnea, dispnea, tachicardia con conseguente facile affaticabilità e rischio di lipotimia.

Lidocaina: è il più comune tra gli anestetici locali utilizzati. Caratterizzato da un breve periodo di latenza, presenta una buona attività anestetica e di superficie. In sede di applicazione, a dosi terapeutiche, non provoca fenomeni irritativi locali. Questo deve essere usato in gravidanza solo in caso di effettiva necessità tenendo presente che i possibili rischi sono rappresentati da insufficienza utero-placentare e da alterazioni comportamentali del neonato.

Mepivacaina: è un anestetico locale di tipo amidico a lunga durata di azione. In sede di applicazione l’anestetico, a dosi terapeutiche, non provoca fenomeni irritativi locali. Il suo picco ematico dipende da vari fattori quali il tipo di blocco, la concentrazione della soluzione e la presenza o l’assenza dell’adrenalina. Quest’anestetico è controindicato nei casi di gravidanza accertata o presuta in quanto sono stati dimostrati effetti nocivi sul prodotto del concepimento che comportano bradicardia e acidosi fetale, anche quando le concentrazioni fetali sono uguali o inferiori a quelle materne.

Prilocaina: il suo uso è particolarmente sconsigliato in gravidanza in quanto può danneggiare il prodotto del concepimento nei due seguenti modi: causando metaemoglobinemia nel feto per un deficit di metaemoglobine reduttasi eritrocitaria oppure causando metaemoglobinemia nella madre e quindi diminuendo la disponibilità di ossigeno disponibile per i tessuti fetali. La donna gravida, per la sua particolare condizione che la espone a diverse complicazioni, deve essere considerata nell’ambito dell’odontoiatria un paziente a rischio, i trattamenti a cui deve essere sottoposta e che richiedono l’uso degli anestetici locali possono essere eseguiti tenendo presente alcuni semplici accorgimenti:

  • consultare il ginecologo per conoscere lo stato psico-fisico della paziente; 
  • considerare il periodo gestazionale in cui si effettua il trattamento evitando di agire nel I° trimestre e scegliendo di preferenza il II° trimestre; 
  • adottare sedute terapeutiche brevi;
  • Collocare la paziente in una posizione comoda, seduta e dando la possibilità di cambiare la posizione a richiesta della paziente, anche a brevi intervalli;
  • usare anestetici locali senza vasocostrittore e nella minima dose efficace avendo cura di effettuare sempre l’aspirazione durante l’iniezione dell’anestetico.I vasocostrittori possono indurre direttamente contrazioni uterine e ipossia fetale mediante vasocostrizione dei vasi placentari con efficacia dose-dipendente.
Protossido d’azoto: La sedoanalgesia con protossido d’azoto non è consigliata nel primo trimestre di gravidanza a causa di un possibile effetto teratogeno e fetotossico dimostrato peraltro solo negli animali a seguito di somministrazione prolungata. Nella specie umana, indagini condotte per esposizioni prolungate e ripetute (superiore alle nove ore alla settimana) hanno evidenziato un aumento di aborti spontanei tra le mogli di dentisti e un aumento di anomalie congenite e aborti nelle assistenti alla poltrona; non esiste, comunque, dimostrazione che singole esposizioni inferiori a 30 minuti si associno a rischio significativo. E’ consigliato di mantenere una percentuale di O2 >50%, e somministrare O2 al termine della seduta.
Antibiotici: l’aumentata volemia, i fenomeni di iperemesi, la diminuzione di globuline carrier e delle percentuali di albumina e l’aumentata escrezione renale comportano una diminuzione dell’efficacia degli antibiotici alle dosi normali per una donna non gravida. D’altra parte occorre valutare il rischio teratogeno di alcuni farmaci come le tetracicline specialmente nel 1° trimestre in cui avviene l’organogenesi fetale. Gli unici antibiotici ritenuti sicuri sono le penicilline (ampicillina, amoxicillina, bacampicillina) ed, in caso di allergia alle penicilline, i macrolidi (eritromicina, Azitrocin®, Ribotrex®, Trozocina®, Zitromax®. Veclam®, Klacid®).

In conclusione: le infezioni stomatologiche e dentarie vanno trattate, possibilmente nel II°-III° ma anche nel I° trimestre nei casi più gravi. Occorre ricordare che ciascun presidio diagnostico e terapeutico, se usato con criterio e cautela, sarà sicuramente meno pericoloso per la salute della donna e del feto di uno stato infettivo o di dolore acuto (7). L’infezione non trattata si associa infatti a sofferenza fetale, ritardato accrescimento fetale (IUGR), parto prematuro e possibile mortalità fetale. La cautela e la “dolcezza” delle manovre ricordando che gli stessi interventi odontoiatrici possono essere causa di aborto nel I° trimestre e parto prematuro nel II°-III° trimestre mediante l’ipersecrezione di prostaglandine, PGF2α in particolare, e di ossitocina (4). Molto utile la presenza del ginecologo di fiducia, obbligatoria in caso di gravidanze a rischio.

Radiazioni in gravidanza: In qualunque momento, e non solo durante la gravidanza, qualunque indagine radiografica deve in primo luogo essere giustificata;  bisogna evitare radiografie durante il primo trimestre di gravidanza e ricorrervi solo in casi di assoluta necessità, a causa dei possibili effetti teratogeni dei raggi X. Due sono inoltre gli elementi da considerare: la dose di radiazioni trasmessa e assorbita (misurata in milliGray (mGy) e la regione esaminata. Nelle radiografie dentarie, la dose trasmessa da ogni singola radiografia è molto bassa, e la regione esaminata non è in prossimità della pelvica, né incrocia il suo asse durante la radiografia. Grazie a un centraggio adeguato e all’uso di particolari coperture protettive poste sul torace e sul ventre della paziente, la radiografia dentaria non è suscettibile di recare pregiudizio al nascituro.

Parti prematuri e patologia odontostomatologica: Dal punto di vista medico, la nascita di un bambino pretermine e sottopeso è un evento infausto giacchè si associa ad un elevato rischio di morte neonatale. Tra i fattori di rischio conosciuti, vi sono anche le infezioni materne generalizzate o localizzate dal momento che i batteri e i loro prodotti metabolici possono raggiungere attraverso il circolo ematico le membrane placentari e il liquido amniotico, con effetti dannosi sulla madre e sul feto. Alla luce di tale riscontri, è ragionevole ritenere la malattia parodontale come un fattore di rischio per alterazioni di sviluppo del feto e per il parto prematuro. Un recente studio ha messo in evidenza che il rischio di dare alla luce un bambino pretemine sottopeso in madri con scadenti condizioni di igiene orale è più alto di almeno tre volte rispetto a madri con gengive sane (6-8)

Igiene dentaria: Le modificazioni stomatologiche prima evidenziate richiedono una maggiore attenzione per l’igiene orale in gravidanza con lo spazzolamento dentario tre volte al dì, filo interdentale e collutorio ogni giorno.  La gravida inoltre dovrebbe sottoporsi ad almeno 2 visite odontoiatriche di controllo nel corso della gravidanza per prevenire o arrestare  alterazioni gengivali specifiche, patologia cariosa o tartaro (5).  La gravidanza però non è responsabile dello sviluppo di carie dentarie nè della formazione del tartaro che è bene rimuovere in gravidanza preferendo sedute brevi e ripetute soprattutto nel caso in cui vi sono notevoli quantità di tartaro da rimuovere. Nel caso di gengiviti o parodontiti le sedute dovrebbero essere bimestrali o mensili e dovrebbero continuare anche nel periodo dell’allattamento.  E’ importante che l’igienista insegni alla paziente le corrette manovre di igiene orale, risponda ad eventuali dubbi della paziente la quale ,riscontrando spesso sanguinamento gengivale nel corso delle procedure di pulizia, le sospende aggravando le condizioni orali. Nel caso di pazienti che stanno affrontando gli ultimi mesi di gestazione, è opportuno che l’igienista  si adoperi per trovare  la posizione più confortevole alla poltrona, per rendere meno fastidiosi eventuali dolori alla schiena o meno difficoltosa la respirazione.  L’igienista dovrà consigliare alla paziente gravida soluzioni o gel al fluoro da utilizzare dopo le sedute di igiene orale,soprattutto se sono state riscontrate diverse carie o sono presenti numerosi restauri (3).

Non esistono prove che la somministrazione sistemica di fluoro durante la gravidanza comporti benefici particolari nella futura dentizione del bambino mentre, è certo il beneficio di una sana alimentazione ricca di fibre, latte e verdure. Importante è invece la somministrazione  di preparati contenenti fluoro fin dalla nascita al bambino. A seconda della quantità di fluoro nelle acque potabili, la fluoroprofilassi fino al tredicesimo anno d’età determina una prevenzione della carie dell’80% (5).

 

Bibliografia

  1. G. C. Armitage, “Periodontal disease and pregnancy: discussion, conclusions, and recommendations,” Annals of Periodontology, vol. 6, no. 1, pp. 189–192, 2001.
  2. Favero C. Piovesana C. Bortoluzzi P. ,”Dentistry & Medicine” Ed. Griffin 2008 Valletta G. “Clinica Odontostomatologica”
  3.  H.F.Wolf, F.M. e K.H. Rateitschak “Parodontologia” Ed.Masson 2004
  4. John Silness, and Harald Löe: “Periodontal Disease in Pregnancy II. Correlation Between Oral Hygiene and Periodontal Condition”. Acta Odontologica Scandinavic1964, Vol. 22, No. 1 , Pages 121-135
  5. Dolapo A. Babalola and Folashade Omole; “Periodontal Disease and Pregnancy Outcomes”. Journal of Pregnancy Volume 2010 (2010), Article ID 293439, 4 pages
  6. S. Offenbacher, D. Lin, R. Strauss, et al., “Effects of periodontal therapy during pregnancy on periodontal status, biologic parameters, and pregnancy outcomes: a pilot study,” Journal of Periodontology, vol. 77, no. 12, pp. 2011–2024, 2006.
  7. M. K. Jeffcoat, J. C. Hauth, N. C. Geurs, et al., “Periodontal disease and preterm birth: results of a pilot intervention study,” Journal of Periodontology, vol. 74, no. 8, pp. 1214–1218, 2003
  8. N. J. López, P. C. Smith, and J. Gutierrez, “Periodontal therapy may reduce the risk of preterm low birth weight in women with periodontal disease: a randomized controlled trial,” Journal of Periodontology, vol. 73, no. 8, pp. 911–924, 2002.
  9. Y. W. Han, R. W. Redline, M. Li, L. Yin, G. B. Hill, and T. S. McCormick, “Fusobacterium nucleatum induces premature and term stillbirths in pregnant mice: implication of oral bacteria in preterm birth,” Infection and Immunity, vol. 72, no. 4, pp. 2272–2279, 2004.
  10. HILMING F.: “Gingivitis gravidarum; studies on clinic and on etiology with special reference to the influence of vitamin C”.Oral Surg Oral Med Oral Pathol.1952 Jul;5(7):734-51.
  11. KUTSCHER AH.: “Failure of vitamin C, rutin, vitamin P, and vitamin K in the treatment of pregnancy gingivitis”. Am J Obstet Gynecol. 1951 Jun;61(6):1348-53.
  12. Hiroshi Maeda et al: “Quantitative real-time PCR using TaqMan and SYBR Green for Actinobacillus actinomycetemcomitans, Porphyromonas gingivalis, Prevotella intermedia, tetQ gene and total bacteria”. FEMS Immunology & Medical Microbiology Volume 39, Issue 1, pages 81–86, October 2003
Endocrinologia

Renina

La renina è un enzima proteolitico, precisamente un’aspartil proteasi, secreto dalle cellule iuxta-glomerulari del rene in risposta a ipovolemia, iponatriemia, iperkalemia e ipotensione arteriosa; condizioni tutte che si verificano in diverse patologie e in caso di emorragie e vomito. La renina svolge un ruolo fondamentale nella regolazione del volume sanguigno,  della pressione arteriosa, della concentrazione di K+ e Na+ e del pH ematico  essenzialmente tramite il sistema renina-angiotensina-aldosterone.

L’apparato iuxta-glomerulare – è una struttura sensoriale specializzata, situata fra l’arteriola afferente e il tubulo contorto distale.

L’apparato iuxtaglomerulare è costituito da tre componenti strettamente connesse tramite actina e microtubuli: 

  1. la macula densa, una regione dell’epitelio dell’ansa distale di Henle e del tubulo contorto distale; le cellule di questa zona sono più densamente compattate rispetto alle altre cellule tubulari e ciò  determina il suo caratteristico aspetto al microscopio ottico. Le cellule della macula densa rispondono ai cambiamenti nei livelli di cloruro di sodio nell’ansa distale di Henle e nel tubulo contorto distale inducendo una vasocostrizione dell’arteriola   afferente mediante rilascio di adenosina, ATP e trombossano in caso di aumentata concentrazione di NaCl mentre inducono vasodilatazione mediante rilascio di ossido nitrico e prostaglandine in caso di diminuita concentrazione di NaCl. Le variazioni pressorie delle arteriole afferenti modulano direttamente la secrezione di renina.
  2. cellule juxtaglomerulari: secernono quasi tutta la renina
  3. cellule mesangiali extraglomerulari: si trovano nella giunzione tra le arteriole afferenti ed efferenti. Queste cellule, di forma stellata, hanno una proprietà contrattile simile alla muscolatura liscia vascolare essendo dotate al loro interno di miofibrille. Inducono vasocostrizione o vasodilatazione delle arteriole afferenti. La renina è in parte secreta anche da queste cellule.   Inoltre, le cellule mesangiali secernono l’ormone eritropoietina che stimola l’eritropoiesi.

Le cellule juxtaglomerulari (cellule JG, note anche come cellule granulari) sono il sito principale della secrezione di renina. Esse sono situate all’interno della tunica media delle arteriole afferenti renali (occasionalmente nella parete delle arteriole renali efferenti e nelle cellule mesangiali). Le cellule JG agiscono come un sensore di pressione intra-renale. Le cellule JG sono caratterizzate da un grande nucleo con un numero maggiore di reticolo endoplasmatico rugoso e apparato di Golgi in correlazione alla produzione di renina. Una pressione arteriosa ridotta porta a una diminuzione della pressione sulle cellule JG, consentendo loro di gonfiarsi. Questo rigonfiamento aumenta i livelli intracellulari di cAMP che stimola la PKA (protein-chinasi A) che provoca la secrezione di renina.

La renina agisce sull’angiotensinogeno, un’α-2-globulina prodotta dal fegato, trasformandolo in angiotensina nel complesso sistema renina-angiotensina-aldosterone fondamentale nella modulazione della volemia e della pressione arteriosa.

In condizioni di normalità, si riscontrano i seguenti livelli ematici di renina:

  • Ortostatismo: 4.4 – 46.1 µIU/mL
  • Clinostatismo: 2.8 – 39.9 µIU/mL

Ipereninemia: Elevati livelli sierici di renina si riscontrano in caso di:

  • Malattie renali;
  • Ostruzioni delle arterie renali
  • Morbo di Addison;
  • Cirrosi epatica;
  • Emorragie;
  • Tumori renali ed extrarenali secernenti renina;
  • Ipertensione maligna;
  • Scompenso cardiaco congestizio;
  • Sindrome di Bartter (alti livelli di renina senza ipertensione).
  • Disidratazione
  • Ipopotassiemia
  • Dieta iposodica;
  • Diarrea;
  • Gravidanza
  • Assunzione di farmaci contraccettivi contenenti estrogeni o diuretici.

Iporeninemia: Basse concentrazioni sieriche di renina bassa si riscontrano in caso di:

  1. Sindrome di Conn;
  2. Sindrome di Cushing;
  3. Terapia con vasopressina (ADH) o con farmaci che ritengono il sodio.

References:

  1. Stefanska A., Kenyon C., Christian H.C., Buckley C., Shaw I., Mullins J.J., Peault B. Human kidney pericytes produce renin. Kidney Int. 2016;90:1251–1261
  2. Shaw I., Rider S., Mullins J., Hughes J., Peault B. Pericytes in the renal vasculature: Roles in health and disease. Nat. Rev. Nephrol. 2018;14:521–534
  3. Yao J., Oite T., Kitamura M. Gap junctional intercellular communication in the juxtaglomerular apparatus. Am. J. Physiol. Ren. Physiol. 2009;296:F939–F946.
  4. Peti-Peterdi J., Harris R.C. Macula densa sensing and signaling mechanisms of renin release. J. Am. Soc. Nephrol. JASN. 2010;21:1093–1096.
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Endocrinologia

Aldosterone

L’aldosterone (ALD) è un ormone steroideo mineralattivo secreto dallo strato esterno della corteccia surrenalica (zona glomerulare) sotto l’azione dell’angiotensina II e, in minor misura, dei livelli sierici di potassio, sodio, ormone adrenocorticotropo (ACTH), serotonina e dopamina.  L’aldosterone agisce sui tubuli distali del nefrone con aumentando il riassorbimento di sodio e acqua e l’eliminazione del potassio e ioni idrogeno (1-5).

Valori sierici normali di aldosterone:

    • 0-30 giorni: 17-154 ng/dL
    • 1-12 mesi: 6.5-86 ng/dL
    • 1-10 anni:
      • ≤ 40 ng/dL (sdraiato)
      • ≤ 124 ng/dL (in piedi)
    • 11 anni – età adulta: ≤ 21 ng/dL

Funzioni: l’ALD  agisce legandosi a recettori intracellulari che permettono all’ALD di penetrare nel nucleo dove induce la trascrizione di specifici geni, i quali codificano per proteine coinvolte in specifiche funzioni a livello di rene, colon, ghiandole sudoripare e ghiandole salivari.

Classiche funzioni dell’ALD sono la modulazione della filtrazione e riassorbimento renale di acqua, sodio e potassio a livello del tubulo distale e dotto collettore del nefrone. In tal modo l’ALD regola il volume e l’osmolarità del sangue, e di conseguenza, la pressione arteriosa in collaborazione con altri ormoni, proteine ed enzima in un complesso sistema chiamato sistema renina-angiotensina-aldosterone (sistema RAA). 

Il sistema RAA si muove in un delicato meccanismo ad orologeria fatto di contrappesi e compensazione sostenuti da pronte azioni e reazioni feed-back. In caso di ipotensione la renina è secreta dal rene nelle cellule iuxtaglomerulari. Essa agisce sull’angiotensinogeno, prodotto dal fegato, trasformandolo in angiotensina I che a sua volta è trasformata in angiotensina II dall’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE) secreto dai polmoni. L’angiotensina II provoca la contrazione delle arteriole aumentando la pressione arteriosa. L’angiotensina II attiva anche le ghiandole surrenali per la secrezione di aldosterone e la neuroipofisi per rilasciare l’ormone antidiuretico (ADH o vasopressina). L’ADH e ALD agiscono insieme, cross-talk,  sul rene favorendo la ritenzione di acqua e sodio e la filtrazione di potassio (6-8).

Tuttavia, oltre ai meccanismi classici sul DNA sopra menzionati, l’aldosterone ha anche effetti non genomici o non classici, che sono indipendenti dal recettore dei mineralcorticoidi e quindi sono rapidi e insensibili all’effetto degli antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi come lo spironolattone. Gli organi bersaglio di tali azioni sono principalmente vasi, cuore, reni e tessuto adiposo dove l’ALD induce disfunzione endoteliale, lesioni infiammatorie perivascolari, fibrosi inducendo direttamente insufficienza renale, insufficienza cardiaca, ipertensione resistente, insulino-resistenza, diabete tipo II, tutte patologie attualmente raccolte nella cosiddetta sindrome cardio-metabolica (9-11).

 

IPERALDOSTERONISMO:  primario quasi sempre indotto dalla presenza di neoplasia surrenalica benigna (adenoma, sindrome di Conn); nell’1%  dei  casi  l’iperaldosteronismo  primario può  essere di tipo  familiare. 

Più raro è l’iperaldosteronismo secondario, in risposta alla presenza di patologie organiche (stenosi di una arteria renale) o situazioni di stress in grado di stimolare la secrezione surrenalica di aldosterone. Anche un eccessivo consumo di liquirizia può mimare  una  condizione  di  iperaldosteronismo come pure una perdita eccessiva di sodio e acqua e alti livelli di K+, per esempio in caso di diarrea o vomito, aumenta la secrezione di aldosterone da parte delle ghiandole surrenali.

Meno frequentemente l’iperaldosteronismo potrebbe essere determinato da gestosi gravidica. L’insufficiente perfusione delle arteriole placentari induce insufficienza placentare e secrezione di renina placentare, e di conseguenza iperaldosteronismo secondario.

Sintomatologia dell’iperaldosteronismo: tra i segni più evidenti si annoverano:  astenia, formicolii, crampi o spasmi muscolari, tutti causati dall’ipopotassiemia. Inoltre riscontriamo polidipsia, poliuria, edemi, ipertensione arteriosa, malattie renali, ictus, perdita della vista, insufficienza cardiaca congestizia, elevati livelli di ACTH, ipernatriemia, ipokalemia, ipervolemia, alterato rapporto renina/aldosterone. Utile l’esame ultrasonografico delle ghiandole surrenaliche per valutare l’eventuale presenza di adenomi e la scansione ecodoppler dei vasi renali per individuare un’eventuale coartazione delle aa. renali.

TERAPIA DELL’IPERALDOSTERONISMO

  • Per i tumori delle ghiandole surrenali, asportazione chirurgica del tumore

  • Farmaci che bloccano l’aldosterone: spironolattone (Aldactone® cpr 25 mg, 100 mg)

Se viene individuato un tumore, questo di solito può essere asportato chirurgicamente. Quando il tumore viene asportato, il basso livello di potassio torna quasi sempre alla normalità, mentre la pressione arteriosa torna alla normalità in circa il 50-70% dei casi.

IPOALDOSTERONISMO: è tipicamente presente, insieme all’ipocortisolemia, nel morbo di Addison (insufficienza surrenalica primaria autoimmunitaria) e nell’iperplasia surrenalica congenita (CAH), quasi sempre causata da deficit di 21-idrossilasi. Anche il diabete, patologie renali, avvelenamento da piombo o malattie gravi possono sviluppare ipoaldosteronismo.

Sintomatologia dell’ipoaldosteronismo: ipotensione arteriosa, shock circolatorio, disidratazione, perdita di peso, stanchezza, letargia, dolore addominale, comparsa di macchie scure sulla pelle, nausea, vomito, diarrea, diminuzione di peli, iperkalemia, iponatriemia; tutti segni caratteristici della sindrome di Addison.

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Endocrinologia

Iperplasia surrenalica congenita (CAH, Congenital Adrenal Hyperplasia)

L’iperplasia surrenalica congenita CAH (Congenital Adrenal Hyperplasia) è il termine che insieme a sindromi adreno-genitali viene comunemente usato per descrivere un gruppo di patologie autosomiche recessive dovute alla mancanza di uno dei 5 enzimi che intervengono nella sintesi del cortisolo e aldosterone nella corteccia surrenalica (1-5). La mutazione comporta una ridotta produzione di ormoni glucocorticoidi e mineralcorticoidi, con conseguente aumento di androgeni (sindrome adreno-genitale).

Eziologia: Il difetto enzimatico più frequente è quello che interessa l’enzima 21-idrossilasi, appartenente alla famiglia dei citocromi P450 e costituito da 494 aminoacidi, che determina oltre il 90-95 % delle iperplasie surrenaliche congenite. Le mutazioni del gene CYP21, situato sul cromosoma 6, che codifica l’enzima, sono responsabili del deficit di 21-idrossilasi (6-9).

La sintesi degli ormoni steroidei surrenalici è un processo complesso che a partire dal colesterolo permette la sintesi del cortisolo, dell’aldosterone e degli ormoni sessuali. Le ghiandole endocrine che sintetizzano gli steroidi sono il corticosurrene e le gonadi. Nell’ovaio i compartimenti capaci di sintetizzare gli steroidi sono follicolo, corpo luteo e cellule interstiziali (in particolare le cellule parailari).
Il corticosurrene presenta due particolari peculiarità:
• è in grado di secernere il più ampio spettro di steroidi (glucocorticoidi, mineralcorticoidi, androgeni e, in piccole quantità, estrogeni);
• presenta zone anatomiche ben distinte (glomerulare, fascicolata e reticolata) con diverse attività, meccanismi di secrezione e di controllo da parte di altri ormoni (feed-back).

Altri organi (fegato, cute, tessuto adiposo, muscolo, ecc.) sono in grado di metabolizzare molecole steroidee, trasformandole in metaboliti più o meno attivi o completamente inattivi. Tuttavia, al contrario degli organi steroidogenetici veri e propri, questi non sono sottoposti al controllo a feed-back da parte di altri ormoni (LH, ACTH, Angiotensina II) in grado di modulare l’attività delle vie enzimatiche, modificando la secrezione in circolo di uno steroide specifico. Pertanto, questi organi sono soprattutto sede del catabolismo degli steroidi e la loro attività enzimatica è una caratteristica intrinseca che viene modulata dalla presenza e quantità dei substrati, e da fattori regolatori (ormonali e non) che agiscono con meccanismi paracrini.

L’enzima 21-idrossilasi (chiamato anche CYP21 o P450c21) appartiene alla categoria dei citocromi P-450 e, a livello intracellulare, è localizzato nel reticolo endoplasmatico. Esso catalizza la conversione del 17-idrossi progesterone (17OH-P) in 11-desossicortisolo, un precursore del cortisolo, e del progesterone in desossicorticosterone, precursore dell’aldosterone (10-15).

Frequenza – La cosiddetta forma classica, con virilizzazione e perdita di sale, si manifesta in epoca neonatale o nelle prime fasi dell’infanzia (in Italia, 1:16000 nati). La forma non classica (virilizzazione semplice e conservata secrezione di aldosterone) è più frequente e si riscontra nello 0,2 % della popolazione bianca in generale con un picco del 2% negli ebrei Ashkenaziti e negli ispanici.

Fisiopatologia – Nel caso in cui vi sia un deficit, parziale o totale, nella funzionalità dell’enzima 21-idrossilasi il paziente portatore del difetto non è in grado di sintetizzare efficientemente una adeguata quantità di cortisolo e/o aldosterone. Pertanto, i bassi valori di cortisolo prodotti esercitano un feed back positivo sull’ipotalamo e sull’ipofisi con ipersecrezione di ormone adrenocorticotropo (CRH) ipotalamico e ACTH ipofisario che a sua volta determina una iperstimolazione della corteccia corticosurrenalica (16-32).
In seguito all’iperstimolazione surrenalica si assiste ad un accumulo dei precursori del cortisolo che, nella sequenza biosintetica degli ormoni surrenalici, sono posti a monte del difetto enzimatico (17-OH-progesterone). I precursori accumulati, pertanto, non potendo proseguire lungo la via che dovrebbe portarli verso la sintesi del cortisolo, vengono deviati verso altre vie biosintetiche con iperproduzione di ormoni sessuali maschili (androstenedione, testosterone e diidrotestosterone).
Ciò può determinare nelle femmine la comparsa precoce di segni di iperandrogenismo (irsutismo, clitoride ingrossato, ambiguità dei genitali esterni nelle neonate e  alopecia androgenetica in età adulta); ovaie, utero e salpingi sono nella norma,  Nei maschi la patologia si manifesta clinicamente solo in un periodo successivo alla nascita attraverso un aumento patologico della velocità di crescita e pubertò precoce. Pertanto nei maschi la diagnosi della patologia alla nascita viene spesso misconosciuta a meno che non vi sia un concomitante deficit di aldosterone, che determina forti crisi ipotensive e perdita di sale.

Contemporaneamente, alla mancata sintesi del cortisolo si può aggiungere una insufficiente produzione di aldosterone che può determinare, nei casi più gravi, un concomitante squilibrio idroelettrolitico con ipovolemia e shock.
Inoltre, in questa patologia possono essere presenti anche altre alterazioni disfunzionali riguardanti non solo la corticale ma anche la midollare del surrene e ciò potrebbe spiegare la predisposizione di questi  pazienti a sviluppare crisi surrenaliche acute in concomitanza di stati febbrili o eventi stressanti, anche se in terapia con una adeguata dose sostitutiva di glucocorticoidi.

Riguardo alla gravità della patologia si osserva un caleidoscopio di tipologie passando da un deficit più grave, detto deficit classico, che si manifesta già in epoca neonatale o nelle prime fasi dell’infanzia con virilizzazione e insufficienza surrenalica (con o senza perdita di sali), e uno meno grave, detto deficit non classico, che può essere asintomatico o associato solo a pochi segni di iperandrogenismo e che solitamente si manifesta più tardivamente (nella fase finale dell’infanzia o addirittura in età adulta). L’iperandrogenismo sia nella forma classica che in quella non classica porta allo sviluppo della PCOS, con conseguente oligomenorrea, amenorrea, soprattutto in adolescenza (16-32).

La gravità della malattia dipende dalla specifica mutazione di CYP21A2 e dal grado di deficit enzimatico. 

Va ricordato, infine, che una attività enzimatica residua del solo 1-2% del normale può essere sufficiente, da sola, a modificare il fenotipo del paziente favorendo la forma clinica meno grave (virilizzante semplice) al posto di quella più grave (con perdita di sale).

SINTOMATOLOGIA: disidratazione, shock ipovolemico, virilizzazione

A) Circa il 75% dei pazienti con deficit classico di 21-idrossilasi è incapace di sintetizzare adeguate quantità di sia di cortisolo che di aldosterone con ipersecrezione surrenalica di DHEA, androstenedione e testosterone e conseguente alterazione dell’equilibrio elettrolitico e virilizzazione.
L’aldosterone è l’ormone che regola l’omeostasi del sodio e pertanto una sua mancanza determina, nei pazienti non trattati, una aumentata escrezione di sodio con conseguente iponatremia, ipovolemia e iperreninemia. Inoltre, siccome il potassio a livello renale viene scambiato con il sodio, l’elevata escrezione di quest’ultimo comporta un accumulo di potassio con conseguente iperkaliemia, soprattutto durante l’infanzia.
In questi pazienti il deficit di cortisolo complica ulteriormente il quadro clinico determinando un peggioramento della funzione cardiaca, una riduzione della risposta vascolare alle catecolammine ed una riduzione della filtrazione glomerulare.
Pertanto, la contemporanea assenza di cortisolo e aldosterone causa frequentemente disidratazione iponatriemica e, nei casi non trattati, anche shock ipovolemico. Clinicamente la perdita di sale si manifesta tipicamente fra il settimo e il quattordicesimo giorno di vita con vomito, perdita di peso, letargia, iponatremia e iperkaliemia.
I pazienti con il deficit classico di 21-idrossilasi con perdita di sale vengono identificati attraverso il dosaggio degli elettroliti, della renina e dell’aldosterone che mostrano, iperreninemia con bassi valori di aldosterone.

B) Forme con virilizzazione semplice: il paziente non è in grado di produrre sufficienti quantità di cortisolo ma è perfettamente in grado di produrre adeguate quantità di aldosterone e quindi di mantenere un corretto bilancio elettrolitico. Le femmine sono esposte, a partire dalla settima settimana di gestazione, ad elevate concentrazioni di androgeni. Questa sovraesposizione agli androgeni porta ad un grado variabile di virilizzazione del feto che, pertanto, alla nascita può avere delle ambiguità genitali tali da causare, addirittura, difficoltà nell’assegnazione del sesso fenotipico. Solitamente le ambiguità genitali più frequenti sono: clitoridomegalia, grandi labbra rugose e parzialmente fuse ed un seno urogenitale comune (invece di uretra e vagina separate). Al contrario, invece, i maschi affetti, alla nascita, non presentano, ovviamente, alcun segno genitale della patologia ad eccezione di una variabile, e comunque lieve, iperpigmentazione dello scroto ed un certo ingrandimento del pene. Pertanto nei maschi la diagnosi della patologia alla nascita viene spesso misconosciuta a meno che non vi sia un concomitante deficit di aldosterone, che determina forti crisi ipotensive e perdita di sale. Nei pazienti non trattati, o inadeguatamente trattati, l’esposizione per lungo tempo ad un eccesso di androgeni determina una rapida crescita corporea (effetto dovuto prevalentemente agli androgeni) ed un avanzamento dell’età ossea con una precoce chiusura delle cartilagini epifisarie (effetto dovuto prevalentemente agli estrogeni formatisi dalla aromatizzazione periferica degli androgeni) che si traduce infine con bassa statura patologica.
Anche il pubarca ed il telarca possono comparire precocemente.
Con il passare del tempo le dimensioni del clitoride possono continuare ad aumentare nelle femmine così come quelle del pene nel maschio, anche se il volume dei testicoli rimane sempre piccolo. L’iperandrogenismo, inoltre, sia nella forma classica che in quella non classica, può essere una condizione predisponente allo sviluppo della sindrome dell’ovaio policistico.

Nelle donne con qualsiasi forma di deficit di 21-idrossilasi possono comparire oligomenorrea o amenorrea, soprattutto durante il periodo adolescenziale. Inoltre, l’esposizione ad elevati livelli di androgeni durante il periodo prenatale può influenzare il successivo comportamento sessuale.

Inoltre, sebbene la fertilità possa essere notevolmente ridotta, nel caso in cui la produzione di androgeni surrenalici non sia adeguatamente soppressa con la terapia steroidea, molte donne con deficit di 21-idrossilasi sono ugualmente in grado di concepire e di portare a termine con successo una gravidanza. Si può pertanto affermare che circa l’80% delle donne con deficit virilizzante semplice ed approssimativamente il 60% di quelle con perdita di sale sono fertili.

Gli uomini con deficit di 21-idrossilasi hanno molti meno problemi della funzione riproduttiva. Molti di essi, infatti, hanno uno spermiogramma nella norma ed una normale capacità riproduttiva. Tuttavia, nei maschi affetti una forma relativamente frequente di anormalità gonadica è lo sviluppo di tessuto surrenalico ectopico, il più delle volte a livello testicolare e quasi sempre bilaterale (testicular adrenal rest tissue). Embriologicamente parlando, sia le gonadi che i surreni originano dal mesoderma del tratto urogenitale e proprio per questo motivo il riscontro di tessuto surrenalico (adrenal remnants) è molto frequente nelle gonadi, soprattutto nel testicolo, sebbene possa riscontrarsi anche in altre parti del corpo (plesso celiaco, legamento largo e ovaie)

DIAGNOSTICA DI LABORATORIO

  • cariotipo, in caso di ambiguità sessuale 
  • aldosteronemia
  • reninemia
  • 17-idrossi-progesterone basale: valori normali sono < 10 ng/ml; sono elevati nelle forme classiche di CAH 
  • Cortisolemia
  • ACTH
  • Na+
  • K+
  • Rx mano sinistra e  polso: in caso di CAH si evidenzia un’età ossea più avanzata rispetto all’età anagrafica.
  • USG, TAC, RMN del surrene
  • Esame del gene della 21-idrossilasi mediante analisi sequenziale del DNA anche in epoca prenatale
  • deficit di 21-idrossilasi: alta concentrazione sierica di 17-OH-progesterone (di solito >1000 ng/dL), bassa concentrazione di cortisolo e aldosterone, alta concentrazione di androgeni, di pregnantriolo urinario (metabolita del 17-OH-progesterone) e 17-chetosteroidi urinari.
  • deficit 11-beta-idrossilasi: concentrazioni sieriche elevate di 11-desossicortisolo e desossicorticosterone e bassi livelli di cortisolo e corticosterone, elevati livelli di 17-chetosteroidi urinari/24 ore. 
  • deficit 3-beta-deidrogenasi: elevate concentrazioni di 17-OH-pregnenolone e DHEA che non vengono metabolizzati in 17-OH-progesterone e androstenedione rispettivamente. 
  • Villocentesi: diagnosi prenatale sul DNA estratto dai villi coriali (cariotipo e analisi diretta di CYP21, ottenibili intorno alla 11a-13a sett. di gestazione),
  • Amniocentesi nel I° trimestre e dosaggio del 17-OH-progesterone nel liquido amniotico nel II° trimestre.
  • Un test di screening neonatale (analisi del gene CYP21, il gene della 21-idrossilasi)  è disponibile per la forma più comune di iperplasia surrenalica congenita; si effettua su sangue fetale ottenuto mediante cordocentesi o su sangue del neonato a 2-3 giorni dopo il parto. 
  • free fetal DNA in maternal plasma (36)

TERAPIA

Nel deficit classico di 21-idrossilasi la terapia prevede un trattamento a lungo termine con glucorticoidi per inibire l’eccessiva secrezione di CRH e ACTH da parte dell’ipotalamo e dell’ipofisi, rispettivamente.

Nei bambini il farmaco da preferire è l’idrocortisone (idrocortisone cpr 5 mg, 10 mg) somministrato ad un dosaggio di 10-20 mg per metro quadro di superficie corporea al giorno frazionata in tre dosi. Dosi superiori a 100 mg per metro quadro, invece, vanno somministrate durante gli episodi di insufficienza surrenalica acuta o comunque nelle situazioni a rischio di vita. Il monitoraggio della terapia viene effettuato attraverso il dosaggio dei livelli di 17-idrossi progesterone e di androstenedione. i livelli di 17-idrossi progesterone devono essere solo parzialmente soppressi a valori compresi fra 100 e 1000 ng/dl (3-30 nmol/l). La difficoltà maggiore nella terapia del deficit classico di 21-idrossilasi consiste nel trovare il giusto dosaggio farmacologico che impedisca l’iperandrogenismo senza causare, al tempo stesso, una condizione di ipercortisolismo; l’ipercortisolismo iatrogeno si rende clinicamente evidente per la comparsa di incremento ponderale, ridistribuzione tronculare dell’adipe, intolleranza glucidica, ipertensione e dislipidemia.

I bambini con il deficit classico di 21-idrossilasi con perdita di sale oltre alla terapia con glucocorticoidi richiedono un supplemento terapeutico con mineralcorticoidi (solitamente fludrocortisone acetato 0,1-0,2 mg/die) e cloruro di sodio (NaCl 1-2 g o 17-34 mmol/die). A differenza di quanto avviene per i glucocorticoidi il dosaggio terapeutico del fludrocortisone non è dipendente dal peso corporeo e pertanto non presenta sostanziali differenze fra il bambino e l’adulto. Per monitorare l’adeguatezza della terapia sostitutiva con mineralcorticoidi e cloruro di sodio bisogna valutare l’attività plasmatica reninica o direttamente la renina dosata con metodica RIA.

I pazienti con la forma virilizzante semplice non necessitano, per definizione, dei mineralcorticoidi ma, in alcuni casi, possono essere trattati con fludrocortisone perché in questo modo si raggiunge prima una maggior soppressione dell’asse surrenalico e di conseguenza si riduce il dosaggio di glucorticoidi richiesto per ottenere degli adeguati livelli di 17-idrossi progesterone.

Adolescenti e adulti: questi, infatti, devono essere trattati con prednisone (Deltacortene® cpr 5 mg, 25 mg) (ad un dosaggio variabile fra 5 e 7,5 mg/die frazionato in due dosi al giorno) o con desametazone (Decadron® cpr 0.5 mg, 0.75 mg) ad un dosaggio variabile fra 0,25 e 0,5 mg/die somministrato in una o due dosi al giorno. Questi pazienti devono essere strettamente monitorizzati per valutare la comparsa di segni di ipercortisolismo come strie rubre, osteopenia, ipertensione o rapido incremento ponderale.

Nel deficit non classico di 21-idrossilasi, invece, il trattamento farmacologico con glucocorticoidi non è indicato nei pazienti asintomatici, visto che gli effetti collaterali dei glucocorticoidi finirebbero per superarne i benefici.
I maschi con deficit non classico di 21-idrossilasi, solitamente, non richiedono alcun trattamento. Il trattamento con glicocorticoidi, invece, potrebbe essere indicato nei bambini maschi con pubertà precoce, con un aumento della velocità di crescita e con un avanzamento dell’età ossea, per ridurre il rischio di ipostaturismo. Invece nelle femmine, soprattutto nelle adolescenti e nelle giovani donne con segni di virilizzazione, può essere preso in considerazione anche un trattamento farmacologico alternativo, come l’utilizzo della pillola anticoncezionale estro-progestinca, di un farmaco con effetto antiandrogeno o di entrambi. La pillola anticoncezionale, invece, impedendo la sclerotizzazione e lo sviluppo di cisti ovariche, riduce, quindi, anche la sintesi degli androgeni. Utili le preparazioni farmacologiche che contengono un progestinico con proprietà antiandrogena tipo ciproterone (Diane® 21 cpr).

Lo spironolattone (Aldactone cpr 25 mg, 100 mg) e la flutamide (Eulexin® cpr 250 mg), il cui utilizzo non è formalmente approvato per questa patologia, sono, di fatto, gli antiandrogeni più utilizzati.

Terapia idratante, se necessaria

  • Chirurgia plastica dei genitali,  in caso di malformazioni e dopo aver effettuato il cariotipo. I lattanti femmine affetti possono richiedere una ricostruzione chirurgica con clitoroplastica riduttiva e vaginoplastica. Spesso, un ulteriore intervento chirurgico è necessario da adulti, ma con una cura e un’attenzione particolare per le problematiche psico-sessuali, è possibile ottenere una vita sessuale normale e il ripristino della fertilità.

 

TERAPIA IN GRAVIDANZA

La somministrazione di desametazone alla madre riduce le ambiguità genitali nei feti di sesso femminile affette da deficit di 21-idrossilasi impedendo così la virilizzazione del feto femmina.
Viene utilizzato il desametazone perché è un composto che non viene inattivato dall’enzima placentare 11β-idrossisteroido-deidrogenasi. Il dosaggio del farmaco è di 20 μg per Kg di peso corporeo al giorno (calcolato in base al peso corporeo della mamma prima dell’inizio della gravidanza) frazionato in tre dosi. Per prevenire la virilizzazione del feto è necessario somministrare il farmaco precocemente già dalla 7a settimana, epoca di inizio dello sviluppo dei genitali esterni, anche prima delle indagini sul feto. La terapia va proseguita se l’indagine genetica mostra che il feto è femmina e ha ereditato entrambe le copie del gene mutato, va sospesa se il feto è maschio, anche se affetto dalla patologia.

Va ricordato, inoltre, che il deficit di 21-idrossilasi è una patologia autosomica recessiva e pertanto, la probabilità che da due genitori portatori possa nascere una femmina affetta è solo di 1 su 8. Questo, chiaramente, vuol dire che ben 7 feti su 8 saranno sottoposti ad una terapia senza realmente averne bisogno.
Pertanto, per evitare la somministrazione di desametazone nei maschi o nelle femmine non affette è necessario effettuare una precoce ed accurata diagnosi genetica.
Alcune complicazioni potrebbero riguardare la madre; infatti lo sviluppo della sindrome di Cushing, l’incremento ponderale e lo sviluppo di ipertensione sono stati riscontrati nell’1% delle donne trattate in gravidanza.  A ciò si aggiunge il fatto che l’efficacia della terapia prenatale nel prevenire la virilizzazione è ancora incerta. Dall’altro lato, tuttavia, la terapia con glucocorticoidi durante la gravidanza non sembra determinare rischi per il feto: il rischio di malformazioni, aborti e altre complicazioni è sovrapponibile a quella della popolazione generale.

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Ginecologia

Sactosalpinge

La sactosalpinge (dal greco σακτός, pieno e σάλπιγξ, salpinge, tromba) è una  dilatazione delle salpingi per ritenzione di secrezioni (idrosalpinge), di pus (piosalpinge) o di sangue (emosalpinge).

Può essere mono- o bilaterale  e, anche nei casi di sactosalpinge unilaterale, l’altra tuba sul lato opposto è spesso anormale. Le tube interessate possono raggiungere diversi centimetri di diametro.

  • Eziologia: La malattia infiammatoria pelvica (PID) ma anche l’endometriosi, l’appendicite perforata, processi neoplastici addomino-pelvici e pregressi interventi chirurgici addomino-pelvici, gravidanza tubarica e sterilizzazione tubarica rappresentano fattori trigger di flogosi annessiale. La patologia infiammatoria acuta, se non adeguatamente contrastata, vira verso la cronicizzazione che nel caso specifico comprende l’accumulo di secrezioni liquide nel lume tubarico, l’agglutinazione delle fimbrie, fimosi o occlusione dell’ostio tubarico, calcificazioni delle pareti tubariche.  Quando viene rilevato, il liquido tubarico di solito è sterile. L’emosalpinge è causata quasi sempre da gravidanza tubarica o endometriosi.
  • Sintomatologia: in genere è rappresentata da dolore addomino-pelvico cronico con riacutizzazione alla fine del flusso mestruale e senso di gonfiore, raramente febbre. Frequentemente si tratta di pazienti con infertilità >2 anni.
  • Esame obiettivo: la palpazione pelvi-addominale suscita dolore e reazione peritoneale.
  • Esplorazione ginecologica:  l’annesso interessato risulta ingrossato,  palpabile e dolente. L’utero può presentarsi scarsamente mobile e dolente ai tentativi di lateralizzazione. Frequentemente si osserva leuco-xantorrea vaginale.
  • USG: le sactosalpingi esprimono diversi quadri ecografici tipici:
  • tube piegate a “C” o ad “S” con pareti assottigliate o ispessite
  • dilatazione sacciforme o tubulare del lume tubarico singola o multiloculare se sono presenti setti intraluminali sottili e incompleti che alcune volte assumono l’aspetto di fili con perline adese. 
  • aspetto “a ruota dentata” o “cogwheel sign” (a volte simili a noduli) del lume tubarico nelle sezioni trasverse; rappresenta proiezioni ripiegate  nel lume delle tube di Falloppio (8-11);
  • intensa vascolarizzazione evidenziata dal power doppler,
  • in caso di ascesso tubo-ovarico salpinge ed ovaio formano un unicum in cui le due formazioni risultano indistinguibili
  • ISG: vedi file Isterosalpingografia    si presenta come una dilatazione del segmento ampollare con ristagno del m.d.c. La sactosalpinge terminale bilaterale tende a confluire in sede retrouterina creando, alcune volte,  un’immagine “a granchio”. L’esplorazione isterosalpingografica è controindicata in caso di flogosi acuta. 
  • TAC: alla scansione tomografica la sactosalpinge si evidenzia come una struttura annessiale tubolare o sacciforme con attenuazione dei fluidi, separata dall’ovaio
  • RMN: è praticata in caso di mancata o scarsa caratterizzazione all’esame ecografico; la tuba si presenta ingrossata e al suo interno si possono evidenziare setti incompleti. Il segnale è tipicamente ipotenso (T1) in caso di idrosalpinge; è invece ipertenso (T2) se presente materiale purulento o ematico (piosalpinge e emosalpinge). Le pliche della mucose sono ridotte o annullate completamente.

  • TERAPIA: enzimi proteolitici: se somministrati in fase precoce sono capaci di impedire fenomeni cicatriziali.  I farmaci più comunemente utilizzati sono: Seaprose (Flaminase®  2 cpr/die per 20 gg) ha un’attività proteolitica, antiinfiammatoria, mucolitica ed anti–edemigena; bromelina (Bromelina cpr 100 mg, Keratose cpr 100 mg), Temex  cpr (Bromelina + Resveratrolo), Liquipef cpr (Ananas + betulla +  meliloto + vite rossa)  invece, agisce inattivando la lipossigenasi e la trombossano-sintetasi  a differenza dei FANS che inattivano la ciclossigenasi. In tal modo incrementano la produzione di prostaglandine ad attività antinfiammatoria a discapito di quelle ad attività pro-infiammatoria.  Inoltre la bromelina agisce mediante un’azione immunomodulatrice inibendo il segnale di trasduzione del linfocita T e inducendo un  aumento della produzione di citochine quali TNF-α, IL-1β, IL-6 e IL-1β. La bromelina  quindi risulta particolarmente efficace nella terapia della flogosi dei tessuti molli come l’apparato riproduttivo femminile. Esercita inoltre un’attività fibrinolitica mediante inibizione dell’aggregazione piastrinica,  inibizione nella sintesi del fibrinogeno e depolimerizzazione della fibrina e la degradazione del fibrinogeno. Queste ultime azioni, ripristinando la permeabilità delle pareti arteriolari sinusoidali, favoriscono il rientro nel circolo ematico dell’essudato interstiziale e quindi la risoluzione dell’edema, della flogosi ed esercita anche un’attività anti-cellulite (1-5).  Per queste sue proprietà, la bromelina è controindicata in presenza di ulcera gastrica o duodenale ed in pazienti in terapia con anticoagulanti o eparina. Potenzia l’azione dei FANS e di altri antinfiammatori e l’azione di altri estratti naturali ad azione anticoagulante (come ginkgo biloba e aglio). Potenzia l’assorbimento intestinale di tetracicline ed amoxicillina. La bromelina, infine, è controindicata in presenza di allergia all’ananas. Inoltre, a differenza dei FANS, non esercita alcuna azione lesiva sulla mucosa gastrointestinale. 
  • La bromelina è commercializzata anche in associazione con altri enzimi proteolitici di estrazione vegetale della classe delle idrolasi come Papaina (17,18), Tripsina e Chimotripsina   (Wobenzym plus®   cpr) oppure bromelina con estratto di betulla, meliloto e vite rossa (Liquipef® cpr) oppure con Quercetina, Resveratrolo, Esperidina, Acido Folico, Vitamina C, Vitamina E (Deflanil Plus® cpr); Flogan day cpr (Bromelina + Escina).
  • Pelvilen dual act® cpr o bustine sublinguali (Palmitoiletanolamide, PEA ad attività antinfiammatoria e antidolorifica antimastocita) 
  • Terapia chirurgica: è rappresentata dalla salpingectomia, intervento le cui indicazioni sono aumentate nell’era PMA per migliorare la percentuale di impianto embrionale.
  • Per ridurre il rischio di gravidanze extra-uterine (tubariche), in molti centri PMA,inalternativaallasalpingectomia, ricorrono  all’inserimento di un

    ESSURE

    piccolo dispositivo in rame chiamato Essure. Quest’ultimo si inserisce nel corno uterino tramite isteroscopia e senza necessità di anestesia. E’ da notare però che lo stesso dispositivo agisce mediante un passaggio flogistico locale che dopo 90 giorni circa dall’applicazione produce occlusione dell’ostio tubarico prossimale. Occorre quindi informare adeguatamente la paziente e valutare con attenzione i costi/benefici di tale tecnica e selezionare le pazienti escludendo quelle affette da patologie flogistiche acute e croniche addomino-pelviche (2-7).

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Anatomia

amenorrea, disturbi del ciclo mestruale e patologia tiroidea

La tiroide è una ghiandola endocrina che si trova nella regione mediana del collo, davanti alla trachea e sopra l’incisura soprasternale. Consiste in due lobi simmetrici uniti da un istmo; è spesso accompagnata da un residuo embrionale del dotto tireoglosso, che prende il nome di lobo piramidale (Piramide di Lalouette o Morgagni).

La funzione principale della tiroide è quella di produrre gli ormoni tiroidei, in particolare i due principali che svolgono tantissime funzioni nel nostro corpo sono la Tiroxina (T4) e la Triiodotironina (T3)T3 è l’unica forma attiva dell’ormone tiroideo, viene rilasciata in quantità molto piccole, poiché gran parte si ottiene a partire dalla forma inattiva T4 (prodotta in quantità molto maggiori) che si converte in T3, a seconda delle esigenze dell’organismo. il T4 può essere convertito in un altro ormone (rT3 o T3 inverso), e la causa principale sembra essere lo stress e conseguente ipercortisolemia (1,2).La secrezione ormonale è iodio-dipendente.

Immessi in circolo, gli  ormoni  tiroidei,  essendo liposolubili, viaggiano legati  a specifiche  proteine  vettrici  TBG (Globulina legante la tiroxina) e solo  frazioni libere (fT3 ed fT4) non risultano legate alle proteine vettrici.

Gli ormoni tiroidei svolgono funzioni metaboliche molto importanti inducendo iperglicemia, lipolisi e sintesi proteica influenzando l’attività di tutti gli organi e tessuti. Per quanto riguarda il sistema riproduttivo in particolare gli ormoni tiroidei esplicano un ruolo permissivo. Per questo, le condizioni caratterizzate da un difetto o da un eccesso di ormoni tiroidei si associano generalmente ad una riduzione della fertilità e alterazioni del ciclo mestruale.

Sia l’ipotiroidismo che l’ipertiroidismo possono provocare amenorrea. L’amenorrea si verifica nei disturbi della tiroide a causa dell’iperprolattinemia dovuta alla soppressione di LH e FSH (3). Il TRH oltre ad aumentare il TSH fa aumentare la secrezione di prolattina (4). La prolattina ostacola l’FSH e il GnRH, quindi compromette l’ovulazione e il normale ciclo mestruale. Gli estrogeni sono fondamentali per il buon funzionamento della tiroide. E questo spiegherebbe perchè nellele donne  in menopausa e durante il puerperio.sono più frequenti le disfunzioni tiroidee.

IPOTIROIDISMO – In presenza di ipotiroidismo (confermato da riduzione degli ormoni tiroidei e aumento del TSH >4 mUI/L) la donna tende a sviluppare la sindrome della policistosi ovarica (5-9) e presentare mestruazioni irregolari, prolungate ed abbondanti (ipermenorrea e menorragia), con un ciclo mestruale più corto (polimenorrea).

IPOTIROIDISMO AUTOIMMUNE (tiroidite di Hashimoto): il sistema immunitario aggredisce anche gli ovociti e i follicoli ovarici con un esaurimento ovarico precoce (POF, Premature Ovarian Failure).  La tiroidite di Hashimoto è più frequente nelle donne a causa di una maggiore suscettibilità del sesso femminile alle anomalie autoimmuni e la POF è associata a patologie autoimmuni nel 30% dei casi (3,4). La maggior parte dei casi di POF sono idiopatici, rappresentando il 60-80% dei casi totali. Altre cause di POF includono, oltre a patologie immunitarie, malattie genetiche, iatrogene e quelle derivanti da insulti ambientali. L’autoimmunità surrenalica è la seconda malattia autoimmune più comunemente associata alla POF. Il diabete mellito è presente nel 2,5% dei casi di POF. Le sindromi polighiandolari autoimmuni (APS) sono un raro gruppo di malattie caratterizzate da attività autoimmune contro diverse ghiandole endocrine e anche organi non endocrini. L’APS di tipo I è una malattia autosomica recessiva, caratterizzata da disfunzione autoimmune della ghiandola paratiroidea (con diminuzione del paratormone e ipocalcemia; la carenza di ioni calcio induce ipermenorrea e aggravamento della sindrome pre-mestruale) e della ghiandola surrenalica (morbo di Addison) con diminuzione della secrezione di cortisolo, aldosterone e androgeni surrenalici. La diminuzione di questi ultimi è responsabile di amenorrea e irregolarità del ciclo.

In presenza di ipertiroidismo o tireotossicosi l’amenorrea è stata descritta già nel 1840 da von Basedow; sono frequenti menarca ritardato, disovulazione,  ipomenorrea e oligo-amenorrea.  Il TSH presenta valori sierici <0,5 mlU/L. Può verificarsi un aumento del sanguinamento, ma è raro nell’ipertiroidismo.

PATOLOGIA NODULARE BENIGNA

I noduli tiroidei sono definiti come zone in cui la consistenza ghiandolare differisce da quella del materiale ghiandolare circostante. La consistenza differenziale consente la diagnosi mediante palpazione ed ecografia.
Questa patologia è estremamente comune e di solito asintomatica; l’attenzione diagnostica è tipicamente attivata quando la funzione ghiandolare si altera (noduli iperfunzionanti scompensati) o quando le zone nodulari diventano particolarmente grandi.

Una classe preminente di forme modulari benigne è quella degli adenomi, le cui caratteristiche portano a una distinzione tra forme papillari e follicolari. All’interno di questa classe, l’adenoma tossico di  Plummer (malattia di Plummer) merita particolare attenzione. Iperfunzionale e funzionalmente autonomo, è una forma clinicamente evidente di ipertiroidismo. I dati clinici, l’analisi funzionale e l’esame strumentale (ecografia e scintigrafia) consentono di diagnosticare e inquadrare accuratamente questo disturbo modulare. Il trattamento è inizialmente medico (farmaci antitiroidei e betabloccanti) e mirato a correggere l’ipertiroidismo, e successivamente chirurgico (tiroidectomia totale).

GOZZO – La patologia tiroidea più comune al mondo è il gozzo. Si presenta come un aumento dimensionale della ghiandola e deriva principalmente da una carenza di iodio. Colpisce principalmente le donne ed è endemico in alcune aree geografiche. La tiroide ospita ipertrofia e iperplasia totale o parziale del materiale ghiandolare. A seconda delle circostanze, il gozzo si manifesta in varie forme, dal gozzo diffuso al gozzo nodulare focale e al gozzo multinodulare diffuso. Nelle fasi iniziali l’unico sintomo è quello di un aumento delle dimensioni della tiroide. Nei casi più gravi, la ghiandola disloca la trachea e l’esofago e quindi provoca sintomi di compressione respiratoria (dispnea) e digestiva (disfagia). In termini funzionali, il gozzo può mantenere uno stato di eutiroidismo, oppure ipertiroidismo o ipotiroidismo.
La terapia è generalmente medica, ma si passa alla chirurgia quando si resiste a tale trattamento o quando la dimensione del gozzo è sufficientemente grande da determinare sintomi compressivi o danni estetici.  Nei casi di amenorrea secondaria il gozzo diffuso non tossico è presente nel 10% dei casi mentre il  gozzo nodulare è presente nel 4% di amenorrea secondaria.

MALATTIA DI BASEDOW – Questa forma di ipertiroidismo è causata da fattori autoimmuni. In particolare, il coinvolgimento delle immunoglobuline stimola l’allargamento omogeneo della ghiandola. Questa condizione è associata a una forma di oftalmopatia caratterizzata da esoftalmo (occhi sporgenti) ed edema periorbitale.
La terapia iniziale è medica, ma se la farmacologia si rivela insufficiente si ricorre alla chirurgia (tiroidectomia totale) o alla terapia con iodio radioattivo con isotopo di iodio (isotopo di iodio l131).

TIROIDITI Le principali forme di flogosi cronica (processi infiammatori) nella tiroide sono la tiroidite cronica di Hashimoto e la tiroidite di Riedel . L’eziologia della tiroidite cronica di Hashimoto è autoimmune; inizia lentamente e porta ad un aumento del volume ghiandolare, accompagnato da una progressiva evoluzione verso la sclerosi del tessuto ghiandolare, e da ipofunzione (ipotiroidismo). La cura medica si avvale di immunosoppressori, ma soprattutto di terapia ormonale sostitutiva come modalità per ottenere il riequilibrio funzionale.
Tiroidite di Riedelsi distingue da quello di Hashimoto ospitando un processo che sostituisce il normale parenchima tiroideo con tessuti fibrotici. Ciò conferisce alla ghiandola una consistenza legnosa, che a sua volta stimola notevoli fenomeni di adesione e compressione sulla trachea e sull’esofago.

Cancro della tiroide – Il carcinoma papillare è la variante più comune di neoplasia tiroidea maligna differenziata. È normalmente capsulato, o parzialmente capsulato, e comprende aree calcificate o cistiche a contenuto emorragico; queste caratteristiche sono riconosciute e valutate con l’ecografia diagnostica di routine.
L’istologia consente il riconoscimento di diverse varianti: follicolare (ben capsulata), sclerosante (con coinvolgimento linfatico diffuso) e a cellule alte; una quarta variante è composta da cellule a forma di colonna altamente aggressive.
Circa il 30% dei casi di PTC presenta un’invasione linfatica cervicale, ma nel 95% di questi casi la diagnosi dimostra che la malattia è confinata a livello cervicale ed è priva di metastasi a distanza.

Altri tipi di ca. tiroideo: ca. midollare, ca. follicolare e ca. anaplastico.

  • Dosaggio sierico di TSH, T3, T4, fT3, fT4, T3 inverso, LH, FSH, ß-inibina, AMH
  • Anticorpi antitireoglobulina (TG Ab) e anti-tiroide perossidasi (TPO Ab)
  • Ecografia pelvica per valutazione morfo-volumetrica delle ovaie e conta dei follicoli ovarici
  • Valutazione cromosomica
  • RMN
  • USG tiroidea
  • Laringoscopia fiberottica

References:

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Endocrinologia

AMENORREA DA PATOLOGIA UTERO-VAGINALE

AMENORREA PRIMARIA DA PATOLOGIA UTERO-VAGINALE:

In caso di mancato flusso mestruale, dopo MAP-test e test EE-P, con FSH ed estradiolo normali, l’eziologia dell’amenorrea è da ricercare in anomalie utero-vaginali. 

Sinechie utero/cervicali: la formazione di sinechie uterine e/o del canale cervicale è quasi sempre di natura traumatica-flogistica conseguente a curetage cavitario troppo energico che rimuove totalmente la mucosa endometriale fino alla lamina basale rendendo impossibile la rigenerazione della stessa mucosa. Invece le flogosi endometriali puerperali, da MST, TBC e le R.C. eseguite non asetticamente e residui abortivi o placentari post-partum o post-abortive causano  endometrite e conseguente coalescenza delle pareti uterine  e atrofia della mucosa endometriale; la presenza di sinechie endouterine associate ad amenorrea secondaria costituiscono la sindrome di Ascherman (10-15).

La TBC endometriale sta assumendo in Italia nuova importanza per l’arrivo di popolazione dalle zone sub-sahariane.  Si tratta quasi sempre di una tbc genitale prepuberale con gravi aderenze che spesso obliterano completamente la cavità uterina. Sintomatologicamente si presenta con febbricola, dismenorrea, dolenzia addomino-pelvica cronica, ipomenorrea ed amenorrea.   La ISG mostra le caratteristiche immagini a «dita di guanto»; La ISC conferma la diagnosi; La biopsia dell’endometrio pone la diagnosi conclusiva.

Altre noxae patologiche della S. di Ascherman possono essere il taglio cesareomiomectomie, polipectomie, diatermocoagulazione cervicale, tracheloplastica, conizzazione (12-14). 

Atresia del canale cervico-istmico: amenorrea primaria con

ematometra

ematometra, senza ematocolpo. L’esame ginecologico evidenzia una vagina normale che termina in un “cul de sac” in cui la cervice uterina è assente. si palpa l’utero di volume aumentato e consistenza diminuita, quasi cistica. L’same US evidenzia un utero con isterometria molto aumentata a causa di ematometra che distende la cavità uterina. La terapia è chirurgica: tracheloplastica dove possibile. 

La S. di Rokintasky-Kuster-Hauser è una condizione di agenesia utero-vaginale dovuta a mancata fusione o mancata canalizzazione dei dotti di Mϋller durante l’organogenesi. Il cariotipo è normale e l’etiologia è da ricondurre all’esposizione del feto in utero a fattori tosso-infettivi (1-9).

L’utero è rappresentato da corni uterini atrofici e i ⅔ superiori della vagina da tessuto fibroso; non vi è imene. Le ovaie sono normali e normofunzionanti. Presenti pubarca e telarca, non vi sono ritardi di crescita o disturbi mentali ma frequentemente si possono riscontrare malformazioni renali e vertebrali fino a configurare la “Associazione MURCS”, una condizione molto rara caratterizzata dalla contemporanea presenza di diverse anomalie di sviluppo.   

La terapia è di tipo chirurgico: creazione di neo-vagina artificiale utilizzando lembi cutanei (metodo McIndoe) o intestinali o mediante la tecnica di Vecchietti. La tecnica di Vecchietti prevede l’inserimento, a livello del fondo cieco della vagina, di una dispositivo di forma ovalare che viene successivamente messo in trazione con fili che dall’interno dell’addome fuoriescono all’esterno e sono progressivamente stirati in alto di 1 cm al giorno mediante un semplice apparecchio meccanico (1-9). 

 La gravidanza non è possibile per queste donne che possono, nei paesi dove ciò è permesso, usufruire della fecondazione in vitro con propri ovociti e della maternità surrogata (“utero in affitto”). 

Trapianto di utero: Il trapianto di utero è stato effettuato per la prima volta nel 2000,  in Arabia Saudita, su una donna di 26 anni prelevando l’organo da donatrice deceduta. Per sopravvenute complicanze trombotiche, l’utero è stato successivamente rimosso. In Svezia, presso l‘università di Goteborg sono stati effettuati con successo 2 trapianti di utero da madre a figlia, di quest’ultime una era affetta da RKHS e l’altra era stata precedentemente sottoposta ad isterectomia per K cervicale.  In Italia questo tipo di intervento è proibito. Il trapianto di utero da donatrice vivente richiederebbe in Italia un’apposita legge come per i trapianti di polmone e intestinoL’intervento sperimentale sui topi  ha riscontrato una percentuale di successo in termini di gravidanze del 10%.    

Vagina biotech:  Per la prima volta al mondo, nel 2006, Il tessuto mucoso è stato ricostruito in provetta utilizzando cellule autologhe delle stesse pazienti ed è stato poi trapiantato in 2 pazienti. L’intervento di ricostruzione biotech e il successivo trapianto sono stati effettuati con successo da Cinzia Marchese del dipartimento di medicina sperimentale dell’università La Sapienza di Roma e da Pierluigi Benedetti Panici, Direttore del DAI di Ginecologia e Ostetricia dello stesso ateneo. 

Malformazioni vulvo-vaginali:

– imene imperforato: determina una falsa amenorrea (criptomenorrea). Clinicamente la giovane lamenta dolori pelvici con riacutizzazioni cicliche e presenta un ematocolpo, l’imene è teso, bombato. Nelle neonate e nelle bambine pre-puberali si può presentare una situazione simile per la raccolta delle secrezioni vaginali (mucocolpo). In queste bambine possono verificarsi difficoltà di svuotamento della vescica e conseguenti infezioni vescicali  ed ureterali ricorrenti. Una incisione imeneale risolve il problema (74,75).

. Diaframma vaginale completo: stessa sintomatologia e trattamento.

. Aplasie vaginali: quasi sempre associata ad assenza dell’utero e tube rudimentali (S. di Rokitansky).  Non c’è la ritenzione mestruale ma la funzionalità ovarica è normale. Trattamento come per la RKHS. 

. Aplasia vaginale con presenza di utero funzionale: è eccezionale da sola. Terapia: neovagina; eventuale amputazione del collo se l’utero è atresico.

  • Sinechie delle piccole labbra: in seguito a flogosi vulvare non curata, le piccole labbra possono collabire strettamente ed impedire il deflusso delle secrezioni vaginali e/ o del sangue mestruale. La terapia è esclusivamente medica e prevede l’applicazione locale, mattina e sera tutti i giorni per 2 mesi, di creme vaginali a base di estrogeni a concentrazioni crescenti:  prima  Colpotrophine® (promestriene 1 g/100 gr), Colpogyn® (estriolo 12.5 mg/100 gr)  e quindi Premarin® (estrogeni coniugati 62, 5 mg/100 gr). La vaselina applicata per ulteriori 30 giorni servirà ad evitare le recidive. Altri AA. consigliano di utilizzare solo creme idratanti (Alkagin® gel vaginale, Echigin® gel vaginale) per evitare gli effetti collaterali della terapia con estrogeni. Se necessario si applicheranno anche pomate specifiche per flogosi (Ledercort A pomata®, Altosone pomata®, Ecoval 70 lozione®), infezioni batteriche (Gentalyn beta crema mite®) e micotiche (Micotef®, Talsutin®, AB® crema vaginale, violetto di genziana in soluzione acquosa all’1%).  

References:

 

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Gravidanza

Lue congenita

La sifilide può essere trasmessa dalla madre al figlio durante la gravidanza o al momento del parto vaginale. La frequenza di tale infezione si è ridotta negli ultimi decenni a 10/ 100.000 nati vivi.

La trasmissione è estremamente elevata nella sifilide infettiva precoce (trasmissione del 90-100% in quella primaria o secondaria) e diminuisce nel tempo, ma può manifestarsi anche molti anni dopo l’infezione iniziale.

L’esito della sifilide in gravidanza dipende dallo stadio in cui la madre è stata infettata e in quale fase della gravidanza viene trasmessa. Gli esiti negativi includono aborto spontaneo a medio termine, morte fetale intrauterina, natimortalità e sifilide congenita.

Sintomatologia: Alla nascita possono presentarsi epato-splenomegalia, ittero, anemia, cecità, sordità neurosensoriale, cheratite interstiziale, meningite, incisivi dentellati noti come denti di Hutchinson’s, naso “a sella” (collasso della componente ossea del naso). Segno caratteristico e precoce è la rinite sifilitica (“snuffles”) simile al comune raffreddore ma è più grave, dura più a lungo, con secrezioni abbondanti, biancastre e spesso sanguinolente ricche di spirochete e quindi altamente infettive. Altri segni possibili sono il restringimento del mignolo (segno di Du Bois), molari di gelso (primi molari permanenti con cuspidi multiple poco sviluppate), linfoadenopatia non dolente ed infine eruzioni cutanee diffuse, maculopapulari di colore rosso o rosa che progrediscono verso la desquamazione e la formazione di croste. La triade di Hutchinson consiste nella presenza di denti di Hutchinson, cheratite interstiziale e sordità neurosensoriale e si verifica nel 63% dei casi. 

La morte per sifilide congenita è solitamente dovuta a emorragia polmonare.

I bambini infettati alla fine della gravidanza o durante il parto potrebbero non presentare anomalie cliniche evidenti alla nascita, ma molto frequentemente  evidenziano sifilide congenita entro i primi anni di vita se non gestiti adeguatamente alla nascita con monitoraggio e terapia precoce.

Il monitoraggio precoce prevede l’esame istologico di placenta e cordone ombelicale, esame al microscopio in campo scuro della secrezione nasale del neonato, Venereal Disease Research Laboratory (VDRL),  test di assorbimento di anticorpi treponemici fluorescenti (FTA-ABS) e/o test di microemoagglutinazione per anticorpi contro T.Pallidum (MHA-TP), PCR CSF per il rilevamento del DNA treponemico.

TERAPIA IN GRAVIDANZA – La terapia sistemica della sifilide primaria, secondaria e latente precoce (<1 anno), prevede la somministrazione di benzatina penicillina G, 2,4 milioni di unità IM, in unica somministrazione, induce concentrazioni ematiche di farmaco sufficientemente elevate per 2 settimane. Due dosi da 1,2 milioni di unità sono in genere somministrate in ciascun gluteo per ridurre le reazioni locali.

Ulteriori iniezioni da 2,4 milioni di unità devono essere somministrate 7 e 14 die più tardi in caso di sifilide latente tardiva (> 1 anno) oppure in caso di sifilide di durata non nota; infatti i treponemi possono occasionalmente persistere nel liquido cerebrospinale dopo regimi terapeutici monodose. 

Il trattamento materno della sifilide con la penicillina è efficace al 98% nel prevenire la sifilide congenita neonatale.

TERAPIA PEDIATRICA: riservata ai pediatri.

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Anatomia

Vulvite luetica

Vulvite luetica – La sifilide è una malattia complessa causata dal treponema pallidum appartenente al genere delle spirochete. Il tempo necessario per la completa riproduzione si agire attorno alle 30-33 ore e il tempo di decuplicazione del loro numero è di soli 4 giorni. Recentemente si conferma che debbono essere considerate non solo le lesioni muco-cutanee, ma anche tutti i liquidi biologici come lo sperma, il latte materno e il sangue, mentre non è ancora certa la presenza infettante del treponema attraverso la saliva o il sudore.

Il contagio si verifica quando sulle mucose o sulla cute lesionate pervengono un numero sufficiente di treponemi virulenti. Ne deriva che il materiale del contagio deve essere sufficientemente ricco di treponemi; le lesioni del periodo primo-secondario (fase iniziale della Sifilide) sono quindi le più pericolose in termini di contagio, proprio perchè contengono un numero assai più elevato di microrganismi infettanti, rispetto al periodo tardivo.

Il contagio può avvenire per via diretta od indiretta; la prima modalità in considerazione della estrema labilità del microrganismo, è sicuramente la più probabile.

Sulla base dei rilievi clinici l’infezione sifilitica viene classificata in diversi fasi:

  • sifilide primaria
  • sifilide secondaria
  • sifilide terziaria

Le varie fasi si sovrappongono e vengono utilizzate per indirizzare i diversi trattamenti ed il followup. 

I sintomi del primo stadio compaiono di solito da 2 a 12 settimane dopo il rapporto sessuale con una persona infetta; una piaga rossa indolore, chiamata sifiloma, sul contorno vulvare con associata linfoadenopatia satellite inguinale.

Il secondo stadio inizia di norma settimane o mesi dopo che il sifiloma iniziale è apparso.

II° stadio: Le spirochete entrano in circolo estendendo l’infezione a tutto il corpo con sintomatologia poliedrica (altralgie, mialgie, febbre, esantemi, astenia). Gli esantemi cutanei, sifilodermi, si presentano come roseole lievemente eczematose di colorito verde o bianco (“condilomatosi piana”) e prediligono le aree umide intorno alla bocca, all’ano e alla vagina. Queste lesioni sono piene di batteri e molto contagiose.

Il terzo stadio o neurolue è caratterizzato a livello cutaneo dal sifiloderma gommoso: noduli duro-elastici che tendono alla ulcerazione che risolvono con esiti di tipo degenerativo atrofico cicatriziale destruente. classiche sono le secrezioni gommose e necrotiche a localizzazione ipodermica. Per il resto, non c’è organo che in cui la sifilide terziaria non possa manifestarsi:

– apparato circolatorio (aortite luetica: la lesione più frequente)
– fegato
– ossa
– sistema nervoso centrale e periferico (neurosifilide: meningite luetica, meningi-vascolare: 4-7 anno dall’infezione e tabe dorsale)
– cuore
– polmoni
di conseguenza possono manifestarsi diversi problemi sistemici:  mentali, difficoltà di deambulazione, di equilibrio, scarso controllo della vescica, problemi di vista, perdita di memoria, perdita di sensibilità, specialmente alle gambe.

L’infezione luetica può essere trasmessa da madre a feto in gravidanza attraverso la placenta. La sifilide primaria non trattata comporta un rischio di trasmissione fetale del 70-100%, con possibile morte endouterina fetale fino a 1/3 dei casi.

Diagnostica – Il TPHA è ad oggi il metodo più semplice ed efficace di diangosi sierologica esso è una reazione di emoagglutinazione in cui l’antigene è assorbito dai globuli rossi, pertanto se si aggiunge un siero contenetianticorpi antitreponema si ottiene una agglutinazione delle emazie e quindi una positività del test.

La VDRL è un test assolutamente specifico per Sifilide ma può essere di grande vantaggio nel controllo della malattia. 

TERAPIA – la terapia locale è inutile data la velocità con cui le spirochete si diffondono e si molitplicano. La terapia sistemica della sifilide primaria, secondaria e latente precoce (<1 anno), prevede la somministrazione di benzatina penicillina G, 2,4 milioni di unità IM, in unica somministrazione, induce concentrazioni ematiche di farmaco sufficientemente elevate per 2 settimane. Due dosi da 1,2 milioni di unità sono in genere somministrate in ciascun gluteo per ridurre le reazioni locali.

Ulteriori iniezioni da 2,4 milioni di unità devono essere somministrate 7 e 14 die più tardi in caso di sifilide latente tardiva (> 1 anno) oppure in caso di sifilide di durata non nota; infatti i treponemi possono occasionalmente persistere nel liquido cerebrospinale dopo regimi terapeutici monodose. 

Per le pazienti non gravide con allergia alla penicillina significativa (con anafilassi, broncospasmi o orticaria), la prima alternativa è la doxiciclina 100 mg PO (Bassado® cpr 100 mg) per 14 giorni (28 giorni per la sifilide latente di vecchia data o la sifilide latente di durata sconosciuta).

L’azitromicina 2 g PO (Zitromax® cpr 500 mg) in una singola dose è efficace per la sifilide latente primaria, la secondaria o quella precoce provocata da ceppi sensibili; non somministrare in gravidanza.

Ginecologia

Vulvite micotica e da trichomonas

Vulviti micotiche e da trichomonas: secondarie alle vaginiti da Trichomonas e da miceti, la vulva si presenta arrossata con intenso prurito. In ambedue i casi è importante la ricerca sia del protozoo sia del micete per una terapia mirata.

Per la terapia della vulvite da Trichomonas ci si può servire dei nitrocomposti eterociclici del gruppo degli imidazoli, comprendenti il metronidazolo (Flagyl® cpr 250 mg, Trimonase® cpr 500 mg) e la nitrimidazina, il tinidazolo. Tra i nitrofuranici, il nifuratel (McMiror Complex® crema vaginale e ovuli: nistatina e nifuratel in associazione).

Per la terapia della vulvite da miceti utile è la somministrazione locale e sistemica della nistatina (Mycostatin® confetti o sospensione orale), Fluconazolo (Zoloder® cps 200 mg, Diflucan® cpr 50, 100 e 200 mg, Diflucan® fl 100 mg e 200 mg per infusione endovenosa lenta in soluzione elettrolitica (H), Diflucan® sosp. orale), econazolo (Pevaryl® soluzione cutanea per genitali esterni, Pevaryl® ovuli vaginali, Pevaryl® crema vaginale), dell’anfotericina B (Fungizone®  fl 50 mg in soluzione elettrolitica per infusione endovena lentissima; Talsutin®  crema vaginale = tetraciclina +  amfotericina),  isoconazolo (Travogen® crema vaginale), del clotrimazolo (Gynocanesten® crema vaginale; Meclon crema vaginale, clotrimazolo + metronidazolo), e del miconazolo (Miconal® crema vaginale).

Evitare: carboidrati, dolci, aceto, alcolici, funghi, gorgonzola, cioccolato, birra, burro e tè nero. Assumere: yogurt (almeno 250 gr al dì per almeno 6 mesi), vitamina H e biotina (presenti in gran quantità nell’olio di oliva e  nella camomilla). Esse sembrano inibire la sintesi delle PGE2 locali. La Calendula, il  succo di aloe vera e la liquirizia mostrano attività eutrofica per la mucosa vaginale e una notevole attività antimicrobica, antibatterica, fungicida e antitrichomonas.  Evitare l’uso abnorme di lassativi. Limitare l’uso di indumenti aderenti e tessuti sintetici. Cambiare frequentemente la biancheria intima e fare uso personale di salviette. Slip di tessuto DermaSilk®, fibroina di seta nobilitata con una protezione antimicrobica permanente (16).

Ginecologia

Vulvite eritematosa

Si tratta di una manifestazione estremamente fastidiosa, spesso difficile da curare. La sintomatologia comprende  prurito vulvare, dolore, eritema, piccole escoriazioni desquamative vulvari, vescicole che possono scoppiare e trasudare e formare crosticine.

Eziologia: le cause di prurito vulvare non da infezioni possono essere locali e generali. Tra le cause locali distinguiamo:

  • malattie infiammatorie della cute a livello della vulva;
  • leucoplachia, craurosi e lesioni precancerose in genere;
  • lesioni ulcerative della vulva;
  • secrezioni uretrali, vaginali, cervicali a carattere irritativo;
  • infiammazioni da Trichomonas e da miceti;
  • presenza di parassiti animali;
  • irritazioni chimica (pomate irritanti, deodoranti, antifecondativi);
  • mancanza di pulizia;
  • irritazione meccanica (da indumenti troppo stretti e sudati);
  • acqua clorata delle piscine
  • lesioni da sport (equitazione, ciclismo)
  • Infezione batterica, micotica, da virus, parassiti

Tra le cause generali del prurito distinguiamo:

  • alcune diatesi allergiche;
  • diabete;
  • disormonosi (deficienza di estrogeni, distiroidismo);
  • condizioni tossiche (avvelenamenti, ittero, ecc.);
  • stati di debilità fisica a carattere generale (deficienze vitaminiche, malattie infettive croniche, anemia, ecc.);
  • malattie sistematiche;

Diagnostica – oltre alla sintomatologia, comprende l’esame locale e ginecologico, il pap-test e la ricerca di infezioni.

La terapia può essere:

  • causale
  • pomate al cortisone (Locoidon® crema, Ecoval® crema, Flubason® emulsione cutanea in bustine, Advantan® crema). In alternativa, e soprattutto nelle bambine, la vulvite aspecifica può essere trattata con prodotti naturali di  origine vegetale come aloe, borragine, iperico, etc (Bioeulen® pomata pediatrica).
  • pomate ad azione antibiotica (Aureomicina unguento, Gentalyn crema)
  • estrogeni, nei casi su base distrofica
  • Semicupi tiepidi
  • infiltrazione vulvare con anestetico locale
  • roentgenterapia che talora dà risultati buoni. Si fanno applicazioni di 50-100 rad. per seduta si arriva ad una dose totale di 800-1000 rad., ripetendo, se occorre, il trattamento dopo alcuni mesi.

La prevenzione prevede l’uso di indumenti intimi non aderenti e di cotone bianco e traspiranti, evitare rapporti sessuali con più partner e l’uso di soluzioni detergenti aggressive, tibolone o terapia sostitutiva estrogenica (HRT).