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Varici venose

Da dottvolpicelli

Ultimo aggiornamento 2021-07-15  17:16:26

L’insufficienza venosa cronica, e relativa comparsa di varici, rappresenta la patologia vascolare più frequente, con un’incidenza maggiore nelle donne (20-30% versus il 10% negli uomini). Generalmente ereditaria, ha come fattori predisponenti la gravidanza, il sovrappeso, la sedentarietà, ma anche il lavoro in piedi o gli ambienti di lavoro caldi come le cucine per i cuochi; anche chi compie importanti sforzi con il torchio addominale può essere colpito da varici. Tra gli sportivi, note sono le varicosità dei ciclisti o dei colturisti. La patologia varicosa spazia dalla dilatazione di piccoli vasi sanguigni superficiali (telengectasie), a problematiche più gravi come le vene varicose vere e proprie, fino ad arrivare alle trombosi venose superficiali e alle gravi trombosi venose profonde.

Anatomia del sistema venoso degli arti inferiori: 

A) Vene profonde (femorale, poplitea, tibiali anteriori e posteriori): sono le vere responsabili del trasporto della maggior parte del sangue verso il cuore.

Le vene tibiali: Le vene tibiali anteriori e posteriori raccolgono il sangue refluo dai territori pro­fondi del piede e della gamba. Le vene tibiali anteriori traggono origine dalle vene profonde della regione dorsale del pie­de: le vene metatarsali dorsali.  Le vene tibiali posteriori provengono dalle vene profonde della regione plantare  ed esattamente dalle due vene plantari laterali originate dall’arco venoso plantare profondo. Le due vene plantari laterali  si uniscono con le due vene plantari mediali e danno origine alle vene tibiali posteriori che, all’altezza dell’arcata tendi­nea del muscolo soleo, confluiscono con le vene tibiali anteriori per formare la vena poplitea.
Rami affluenti delle ve­ne tibiali posteriori sono le vene peroniere, satel­liti delle arterie omonime.

La vena poplitea inizia in corrispondenza dell’anello del m. soleo  per la confluenza delle vene tibiali anteriori e posteriori. Dall’anello del soleo la vena tibiale risale fino all’anello del m. grande adduttore che attraversa ed assume il nome di vena femorale.  Lungo il suo decorso la  vena poplitea riceve le vene dei muscoli gemelli, le vene del ginocchio e  la v. piccola safena (o safena esterna) del gruppo delle vene superficiali.  Tutte le vene profonde sono in numero di due ed accompagnano l’a. omonima ad eccezione della vena femorale e poplitea che sono singole.

La v. femorale accompagna l’arteria omonima dall’anello del m. grande adduttore fino all’anello femorale dove prende il nome di vena iliaca esterna dopo aver ricevuto la v. grande safena.

B) Le vene superficiali  non sono accompagnate da arterie omonime, hanno la funzione preminente di controllare la temperatura cutanea  e  comprendono: le vene del piede, la vena grande safena (o safena interna) e la v. piccola safena.

Le vene del piede: sulla faccia plantare del piede sono di piccolissimo calibro ma numerosissime e disposte a formare una rete talmente fitta da meritare il nome di “suola venosa” da Lejars. Nelle regioni laterali la suola venosa si risolve in 8-12 tronchi venosi che si gettano medialmente nella v. marginale mediale e lateralmente nella v. marginale laterale. Nella regione anteriore, dorsale, del piede la rete venosa termina con una arcata trasversale  in prossimità della radice delle dita con la concavità rivolta in alto (arcata venosa dorsale del piede). In ogni spazio interdigitale si alloca una vena che anastomizza detta arcata con il sistema venoso plantare. Dalle due estremità dell’arcata si dipartono la v. dorsale mediale e la v. dorsale laterale.  Entrambe queste ultime si dirigono medialmente,  obliquamente ed in alto raggiungendo la gamba dove assumono rispettivamente il nome di grande safena e piccola safena.

La v. grande safena origina dalla v. dorsale mediale del piede, passa davanti all’apofisi del malleolo interno  percorre la superficie interna della gamba prima e della coscia poi, per gettarsi nella vena femorale (profonda) a livello del triangolo di Scarpa a circa 4 cm sopra l’arcata crurale.

La vena piccola safena che va dalla porzione laterale del piede al cavo popliteo (zona posteriore del ginocchio) dove confluisce nella vena poplitea.

Le vene perforanti (perforano l’aponeurosi muscolare): in numero di 90 a livello della gamba, collegano il sistema safenico con il sistema venoso profondo.

Sia le vv. profonde che le superficiali e le perforanti sono provviste di valvole che consentono il flusso del sangue in una sola direzione e cioè dalle vene superficiali verso le profonde. Le valvole appaiono come delle semilune a saccoccia e sono generalmente bigemini, costituite da due lembi. La superficie concava dei lembi delle valvole venose è orientata verso la parete della vena, mentre la superficie convessa è orientata verso il lume venoso ed il margine libero segue la direzione del flusso ematico.

In posizione clinostatica, i lembi valvolari sono accollati alla parete del vaso, mentre in posizione ortostatica si chiudono frammentando la colonna ematica ed impedendo il reflusso del sangue verso il basso.

CLASSIFICAZIONE: una prima classificazione suddivide le vene varicose in essenziali o primitive, secondarie e sintomatiche.

a) Varici essenziali o primitive – se trattate precocemente guariscono. Raramente raggiungono il II° o IV° stadio con ulcere croniche. 

b) Varici secondarie – post-flebitiche: migliorano con la terapia ma spesso presentano recidive e necessità di terapie periodiche. In caso di mancata terapia, possono produrre ulcere trofiche a 2-3 anni dalla trombosi venosa profonda.

c) Varici sintomatiche – da fistola artero-venosa, da trombosi venosa in atto o pregressa, da compressione (tumori, aneurismi)  

 

Sintomatologia delle vene varicose: inizia con sensazione di pesantezza e tensione nelle gambe, formicolii notturni, impressione di “scosse elettriche” all’inguine o alla caviglia, piedi gonfi,  crampi notturni, un vero e proprio dolore fino alla claudicazione venosa. Successivamente si evidenziano le vene varicose  che ulteriormente s’ingrossano e presentano rigonfiamenti segmentari (5,6).

DIAGNOSTICA SINTOMATOLOGICA: 

  • 1) – teleangectasie – la dilatazione venosa interessa i capillari superficiali; le telengectasie  si presentano come delle arborescenze di colore rosso o bluastro: hanno un significato prevalentemente estetico anche se alcune donne possono lamentare dolore nel momento della loro comparsa.
  • 2) Varici: dilatazioni patologiche delle vene degli arti inferiori che, a causa dell’insufficienza valvolare, hanno perso la loro naturale elasticità e si rendono responsabili della stasi, del rallentamento del sangue al loro interno che inizialmente cade verso il basso e per poi ristagnare all’interno dei gavoccioli. Le vene si presentano allungate, dilatate e tortuose a livello degli arti inferiori. Spesso sono presenti dilatazioni sacculari detti gavoccioli.  Una classificazione anatomica distingue le varici venose degli arti inferiori in:
    – varici tronculari, quando sono interessati gli assi safenici;
    – varici reticolari, quando sono interessate le collaterali safeniche;
    – varici extrasafeniche, quando si evidenziano al di fuori dei territori safenici;
  • 3) edemi declivi: gli edemi venosi sono moli e si riducono con il riposo notturno. eziologicamente si differenziano dagli edemi discrasici da insufficienza renale o epatica, edemi cardiaci da insufficienza cardiaca e linfedemi (quest’ultimi si presentano di consistenza dura).
  • 4) dolenzia arti inferiori: senso di pesantezza nelle ore serali e pre-serali che scompare con il movimento, più frequente nei mesi caldi; crampi muscolari notturni e colpo di frusta. DD con dolore irradiato di sciatalgia e forme di artrosi.

La diagnostica strumentale può essere utilizzata per:

  • a) la localizzazione anatomica dell’alterazione 
  • b) la quantificazione del danno venoso relativamente al reflusso e/o all’ostruzione
  • flussimetria doppler: presenta, oltre all’elevata sensibilità, la semplicità d’uso e basso costo (7).  Le indagini ultrasonografiche sono in grado di accertare la presenza del reflusso, identificare la sua origine e la sua durata e seguirne il tragitto in senso cranio-caudale, fino ad individuare la perforante di rientro del sangue nel circolo venoso profondo.  L’eco color doppler deve essere considerato come esame di primo livello, utile insieme all’esame clinico per lo screening della malattia varicosa.  Con il paziente in ortostatismo e con la sonda lineare dell’ecodoppler da 5-7 MHz appoggiata all’origine della vena grande o piccola safena, si fa eseguire una prolungata manovra di Valsalva, che permette di valutare la durata del reflusso: – safena normale reflusso < 0,5 sec; – safena dilatata ma continente reflusso > 0,5 e < 1 sec; – safena refluente e svalvolata reflusso > 1 sec. L’Ecocolordoppler fornisce ulteriori dati connessi alla morfologia della grande safena, come il diametro della stessa, una visualizzazione ottimale della valvola ostiale e pre-ostiale, la continenza delle collaterali e di eventuali safene accessorie. Ed ancora nella valutazione del reflusso nella piccola safena l’ecocolordoppler permette di studiare l’anatomia vascolare del poplite, la sede esatta di sbocco della piccola safena nella vena poplitea, la continenza della vena di Giacomini, l’eventuale origine del reflusso da una perforante del cavo del poplite.
  • Pletismografia a luce riflessa: La pletismografia consente, invece, di valutare la funzionalità venosa globale dell’arto inferiore e l’efficacia della pompa muscolovenosa del polpaccio, misurando i cambiamenti di volume della gamba in rapporto ai movimenti. Le misurazioni possono essere eseguite utilizzando varie metodiche, quali aria, acqua, tubicino riempito di mercurio o strain gauge, ecc. Quando si utilizza la luce riflessa o fotopletismografia, il sensore viene applicato sulla cute al terzo inferiore di gamba circa 8 cm al di sopra del malleolo interno e misura lo svuotamento e quindi il successivo tempo di riempimento (RT o venous refilling time) dei plessi venosi cutanei dopo movimenti di flessoestensione della caviglia sul posto o meglio, qualora si utilizzi un fotosensore a radiofrequenza, facendo camminare il soggetto. L’esame può essere eseguito sia prima che dopo occlusione della vena grande safena alla coscia, ottenibile stringendo un laccio o meglio ancora gonfiando un manicotto alto 3 cm a 80 mm di Hg, in maniera da eliminare il reflusso superficiale, così da prevedere il risultato di un eventuale intervento di asportazione della safena sulla funzione del ritorno venoso. Tenendo presente che il parametro di valutazione è il tempo di riempimento venoso espresso in secondi, è possibile distinguere 4 classi di soggetti: – normali RT > 24 sec. – con insufficienza di grado lieve RT tra 18 e 23 sec. – con insufficienza di grado moderata RT tra 10 e 17 sec. – Con insufficienza di grado severa RT < 10 sec.
  • Flebografia: Attualmente la flebografia trova la sua indicazione nello studio di pazienti con recidiva varicosa di incerta eziologia o in caso di reperti ultrasonografici dubbi.
  • Angio TAC
  • Angio RMN

Classificazione CEAP: allo scopo di classificare e stadiare l’Insufficienza Venosa Cronica in maniera obiettiva, si è riunita nel 1994 in Maui nelle Hawaii, USA, una Commissione Internazionale di Esperti, che ha messo a punto la classificazione cosiddetta CEAP, un acronimo proveniente dalle iniziali di Clinica (C), Eziologia (E), Anatomia (A) e Patofisiologia (P). 

STADIAZIONE:

  • Varici asintomatiche
  • Varici scompensate (edemi declivi serali)
  • Ipodermite da stasi venosa
  • Lesioni ulcerative

FISIOPATOLOGIA

Il sangue, messo in movimento dall’azione di spinta del ventricolo sinistro del cuore, raggiunge gli organi e gli apparati tramite il sistema arterioso e, dopo aver perfuso i tessuti, ritorna al cuore tramite il sistema venoso. Negli arti inferiori il sistema venoso è rappresentato da vene superficiali, vene profonde e vene perforanti.  Le vene superficiali (grande e piccola safena e loro collaterali) decorrono nel tessuto sottocutaneo soprafasciale e drenano circa il 10-15% del sangue. Le vene profonde (vene plantari, tibiali posteriori ed anteriori, peroniere, poplitea, femorale superficiale e profonda) decorrono tra i fasci muscolari sottofasciali e drenano la maggior parte del sangue degli arti inferiori, vale a dire l’85-90% del totale. Le vene perforanti mettono in comunicazione a vari livelli degli arti i due sistemi venosi superficiale e profondo e normalmente drenano il sangue dalla superficie in profondità. Caratteristica peculiare delle vene è la presenza endoluminale di valvole, conformate a nido di rondine, le quali orientano la corrente ematica dal basso verso l’alto ed impediscono con la chiusura dei loro lembi che il sangue possa refluire, cioè ritornare verso i segmenti distali degli arti inferiori. In condizioni fisiologiche esistono vari meccanismi che favoriscono il flusso venoso: – alcuni di essi sono più propriamente aspirativi (attività respiratoria = pompa toraco-addominale); altri sono di tipo propulsivo (vis a tergo, vis a latere, pompa plantare, pompa articolare della caviglia, pompa muscolare del polpaccio). L’azione di questi meccanismi varia a seconda che il soggetto sia: in posizione supina, clinostatica o in posizione eretta o ortostatica oppure in deambulazione. Nel soggetto supino intervengono soprattutto le forze aspirative. E’ principalmente l’attività respiratoria che, creando ritmicamente una pressione negativa intratoracica per abbassamento del diaframma durante l’inspirazione, richiama sangue al cuore dalla cava inferiore e quindi via via dalle vene più distali. Non va, comunque, trascurata la vis a tergo, cioè la pressione arteriosa residua, ed il tono della parete venosa, il cui aumento o la cui diminuzione modificano il calibro della vena e quindi la velocità del sangue e ciò favorisce o rallenta la circolazione di ritorno. Nel soggetto in piedi, immobile in posizione eretta, il peso della colonna di sangue che va dall’atrio destro del cuore al malleolo tibiale influenza la pressione vigente nelle vene distali degli arti inferiori. In queste condizioni, infatti, il gioco delle valvole è inesistente, essendo i lembi valvolari accostati all’intima della vena, e tutta la colonna di sangue grava sulle vene più distali dell’arto, producendo una pressione di circa 90 mmHg a livello del malleolo. Senza l’intervento di altri meccanismi (contrazioni muscolari, vis a tergo, vis a fronte, ecc.) questa condizione sarebbe intollerabile, in quanto provoca ben presto aumento della permeabilità capillare e quindi edema, pesantezza della gamba, turgore venoso, crampi, dolore, ecc. Nel soggetto che cammina realizzano la loro massima espressione i meccanismi propulsivi, soprattutto le pompe muscolari del piede e del polpaccio. In tal caso si determina ad ogni passo durante la contrazione muscolare una vera e propria spremitura delle vene profonde con il sangue che è costretto, dalla chiusura delle valvole poste distalmente, a prendere la via verso l’alto. In tal modo si abbassa notevolmente la pressione vigente a livello del malleolo fino a valori di 20-30 mmHg. Nella successiva fase di rilasciamento muscolare le vene profonde ormai vuote vengono riempite dal sangue che proviene dalle vene superficiali attraverso le vene perforanti, dotate di valvole che assicurano la unidirezionalità del flusso venoso. In condizioni patologiche il circolo venoso profondo può essere compromesso o per incontinenza valvolare primitiva o per processi ostruttivi che provocano secondariamente l’insufficienza valvolare delle vene profonde e delle perforanti. In tal caso si produce durante la contrazione muscolare un reflusso di sangue che attraverso le perforanti si scarica sul sistema superficiale, mentre durante la fase di rilasciamento muscolare il reflusso profondo impedisce alle vene superficiali di svuotarsi con conseguente aumento del regime pressorio vigente al loro interno, per cui a lungo andare esse si sfiancano, si dilatano, diventano varicose. Nel soggetto deambulante con insufficienza cronica del circolo superficiale, di solito per incontinenza delle valvole ostiale e tronculari delle safene, durante la contrazione muscolare si ha un reflusso proporzionale all’entità dell’incontinenza valvolare, mentre durante la fase di rilasciamento le vene superficiali sovraccaricate si svuotano in maniera inadeguata. Si formano così delle circolazioni private secondarie, dal momento che una certa quantità di sangue refluisce dalla profondità in superficie, rientra in profondità e poi ancora ritorna in superficie, sovraccaricando il sistema superficiale con comparsa ancora una volta di varici.

Eziologia delle varici venose: Non si riconosce un fattore causale diretto evidente che spieghi l’eziologia della patologia varicosa; esistono ipotesi patogenetiche e fattori favorenti.

A. Le varici primitive degli arti inferiori sono rarissime nei bambini e negli adolescenti. La loro frequenza aumenta con l’aumentare dell’età, raggiungendo il massimo verso la quinta e sesta decade di vita. Prevalgono nel sesso femminile in rapporto di 3:1 rispetto al sesso maschile, ma dopo i 60 anni non si notano significative differenze tra i due sessi. Nel mondo occidentale sono presenti in forma clinicamente manifesta nel 10% dei maschi adulti e nel 20-33% delle donne (13,14).

B. Familiarità: Il 75% delle gravide con patologia varicosa presenta una familiarità per tale patologia (6,7).

C. Ipertrofia dell’a. iliaca comune dx  e relativa compressione sulla vena satellite

D. Gravidanza – l’utero gravido esercita una compressione sulla vena cava inferiore e sulle vene iliache. La gravidanza apporta delle modificazioni fisiologiche funzionali alla gravidanza ma negative per la circolazione ematica della gravida e quindi  possono rendere manifesta una malattia venosa rimasta, fino allora, latente.

Le principali modificazioni gravidiche interessate sono:

1. aumento del volume del sangue. Comporta ovviamente una pressione extra sulle pareti venose ed un maggiore sforzo da parte del sistema venoso periferico che deve lavorare contro la forza di gravità. Già all’inizio della gravidanza il volume plasmatico aumenta del 20% e, quindi del  50% a 6 mesi di gestazione (da 2500 ml a 4000 ml circa) ed un aumento del 30% a carico della parte corpuscolata del sangue.

2. aumento della coagulabilità del sangue: diminuzione della proteina S ed aumentata resistenza della proteina C. In condizioni di ritorno venoso molto rallentato tale modificazione può indurre una trombosi delle vene superficiali oppure trombosi venosa profonda (7).

3. il progesterone: protegge la gravidanza mantenendo rilassata la muscolatura uterina prima del parto ma, con meccanismo analogo, produce una massiva venodilatazione con ridotta velocità di flusso delle vene.

F. Life Style:  

  • il lavorare troppo spesso sedute o troppo spesso in piedi, senza poter alternare le due posizioni per periodi sufficientemente lunghi (almeno un quarto d’ora)
  • l’uso di calzature non idonee (tacco troppo basso o inesistente, punta troppo stretta): appiattendo la pianta del piede non si favorisce il ritorno del sangue al cuore.
  • l’abitudine di usare acqua troppo calda per il bagno
  • la ceretta depilatoria eseguita a caldo, che è lesiva per lo shock termico che provoca sui capillari e le piccole vene;
  • l’esposizione “sconsiderata” ai raggi del sole, soprattutto per periodi troppo lunghi e nelle ore troppo calde: oltre al danno, ovvio, causato dal calore, i raggi solari provocano anche un impoverimento del tessuto sottocutaneo che viene sostituito, soprattutto nelle vicinanze delle vene superficiali, da tessuto fibroso, molto meno elastico. Questa rigidità tissutale può provocare una maggiore sporgenza della vena verso la superficie oppure un minor effetto ammortizzante dei confronti di traumi accidentali. Tutte queste considerazioni sono valide anche per le tecniche di abbronzatura artificiale.

Prevenzione della patologia varicosa: 

  • 1.Vasoprotettori ed antiflogistici: i cosiddetti vasoprotettori sono farmaci in gran parte di origine vegetale, fitofarmaci, il cui meccanismo d’azione è principalmente caratterizzato dalla proprietà di attivare il ritorno venoso e linfatico. Alla categoria dei bioflavonoidi appartengono molti di questi farmaci, quali gli acidi grassi polinsaturi, oxerutina, la diosmina, l’esperidina, la troxerutina, la rutosidea, l’escina e gli antocianosidi del mirtillo, mentre il ruscus aculeatus, la bromelina, il meliloto, la vitamina E e la centella asiatica sono farmaci antiedema e svolgono ugualmente un’attività flebotropa e vasoprotettrice. L’efficacia di questi fitofarmaci sui sintomi soggettivi della malattia varicosa allo stadio iniziale e soprattutto sull’edema è comprovata da evidenze cliniche, che riportano un netto miglioramento della qualità di vita dei pazienti che li utilizzano. Alcuni nomi commerciali: Venoruton cpr rivestite 500 mg, 1000 mg, Venoruton cpr effervescenti 1000 mg, Venoruton 1000 mg bustine, Pentaven D cpr (diosmina + bromelina + meliloto + betulla);  Deflanil® gel (Quercetina + Bromelina); Flavonil® gel (bromelina); Mirtilene forte®  capsule  (estratto secco di mirtillo); Veniloto Gyn® caps (acidi grassi polinsaturi (EPA + DHA estratti da olio di pesce), Vit E (1.000 U estratta da olio di girasole), Meliloto, Centella,  Ruscus. 
  • 2. Eparine a basso peso molecolare (LMHW): sono la terapia di prima scelta secondo le linee guida dell’ACCP (American College of Chest Physicians). Hanno un peso molecolare di 4.000-6.000 Daltons e derivano dalla eparina standard depolimerizzata. Esse agiscono inibendo la trasformazione del fibrinogeno in fibrina. Sono da preferire rispetto ai farmaci anticoagulanti come il Warfarin perchè non attraversano la barriera placentare ed  alla classica eparina non frazionata (UFH)  perchè hanno un’emivita 2-3 volte più lunga (6 ore), determinano con minor frequenza la trombocitopenia e osteopenia e inbiscono il fattore X attivato (Xa) meno la trombina Xa dipendente (2:1 o 4:1) mentre la UFH  inibisce entrambi in ugual modo (e ciò determina il suo potenziale emorragico molto maggiore rispetto alle LMHW) ed ha un’emivita più breve. Il dosaggio varia in rapporto al peso corporeo della gravida. Si raccomanda di monitorare il fattore Xa nelle gravide in terapia con LMHW. In caso di patologia renale è opportuno utilizzare la classica eparina non frazionata. Le LMHW sono controindicate in caso di patologia emorragica e in caso di piastrinopenia ed ipersensibilità al prodotto. Sconsigliato l’associazione con farmaci anticoagulanti. Frequente è l’orticaria, l’ematoma e il dolore nella zona dell’iniezione.  Clexane® fiale s.c. 2.000 UI, 4.000 UI (enoxaparina sodica); Fraxiparina®, Seleparina®  (Nadropina calcica) fiale preriempite  da 0.3, 0,4, 0.6, 0.8, 1 ml; ogni ml equivale a 9500 UI anti Xa. La somministrazione è effettuata per via sottocutanea 1 volta al dì per la profilassi e 2 volte al dì per la terapia  mentre la UFH richiede 3-4 somministrazioni al dì.
  • 3. L’alimentazione: 

a)    ricca di fibre (verdure, legumi e frutta) in modo da evitare la stipsi che può favorire la comparsa od il peggioramento di emorroidi o di varici degli arti inferiori.
b)   dieta normocalorica in modo da evitare l’obesità.
c)    Evitare cibi piccanti ed alcolici: possono aumentare il prurito.
d)    Moderare il consumo di pane, pasta, riso e dolci.
e)    Abolire o ridurre il caffè.
f)  Mangiare molta frutta in particolare gli agrumi (arance, limoni, mandarini, mandarini cinesi, mandaranci, chinotto).

4. Life Style: 

  • evitare il sovrappeso
  • abolire o ridurre il fumo ed il caffè
  • evitare il più possibile di stare in piedi a lungo
  • non sedersi su sedie o poltrone troppo basse; l’eccessiva angolatura dell’articolazione del ginocchio provoca lo “strozzamento” delle vene superficiali.
  • sempre con lo scopo di evitare un eccessivo rallentamento del ritorno venoso  è bene evitare le sedie con bordi duri che possano comprimere  le vene superficiali.
  • sforzarsi di camminare molto e, se possibile, praticare il nuoto: mantengono il tono muscolare in efficienza
  • quando si sta sedute a lungo sul posto di lavoro, alzarsi in piedi per alcuni minuti, fare streching o  eseguire piccoli passi sulla punta dei piedi o sollevare ritmicamente i talloni;
  • Evitare di calzare scarpe con tacchi troppo alti o troppo bassi. Oltre ai disturbi che ciò provoca all’andatura, anche la circolazione venosa viene resa più difficile. La misura ottimale è compresa fra i 3 e i 5 cm.
  • Tre volte al giorno per circa 15 minuti stare stesi con gli arti sollevati.
  •  Se si è costretti a letto per qualsiasi malattia od intervento chirurgico, muovere spesso le gambe od eseguire esercizi di flesso-estensione dei piedi.
  • utilizzare calze elastiche.
  • Evitare i massaggi energici delle zone con varici: danneggiando la parete venosa essi possono scatenare una flebite.
  • bisogna evitare i bagni troppo caldi e le situazioni ambientali dove la temperatura sia troppo elevata.
  • evitare di stare troppo a lungo con le gambe al sole; frequentare la spiaggia nelle prime ore del mattino e nelle ore del tardo pomeriggio; camminare sul bagnasciuga,
  • usare creme solari con fattore elevato e stare seduta sotto l’ombrellone con le gambe protette da un asciugamano umido
  • nei giorni caldi, afosi o dopo una giornata faticosa, raffreddare le gambe con docce d’acqua fredda o tiepida dai piedi all’inguine.
  • se le gambe sono molto pesanti, specie alla fine della giornata, dormire con i piedi leggermente sollevati applicando un rialzo di 10-15 cm ai piede del letto
  • Idroterapia:  iniziare con un getto debole di acqua fredda dai piedi e risalire lungo la gamba e la coscia finchè tutto l’arto non sia ricoperto da un velo di acqua; la durata massima deve essere di 10 minuti circa. Ripetere per tre volte. Quindi asciugare dolcemente e battere leggermente i piedi su un grosso asciugamani per qualche minuto.
  • Elasto-compressione: La compressione è di fondamentale importanza nella prevenzione e nel trattamento della malattia varicosa. La compressione può essere attuata tramite bende, generalmente utilizzate per la confezione di gambaletti, oppure mediante tutori elastici. I bendaggi rigidi o poco estensibili (bendaggio “a otto”) vengono applicati alle gambe soprattutto nel trattamento di pazienti con ulcere venose, perché sono tollerati e quindi mantenuti in sede costantemente durante le 24 ore, mentre i bendaggi elastici ed i tutori devono essere rimossi la notte, perché non tollerati a letto. I tutori elastici, distinti a seconda della loro lunghezza in gambaletto, calza, monocollant e collant, sono denominati preventivi o terapeutici a seconda che la compressione da essi esercitata alla caviglia sia minore o superiore ai 18 mm di Hg. A loro volta i tutori elastici terapeutici sono classificati in 4 classi, di compressione crescente a seconda della classe, ciascuna con le proprie indicazioni: classe 1 insufficienza venosa lieve; classe 2 insufficienza venosa moderata: classe 3 insufficienza venosa severa; classe 4 insufficienza venosa grave.  Oltre alle calze preventive e terapeutiche vanno ricordate le calze cosiddette “antiembolia”, utilizzate nella prevenzione degli episodi tromboembolici. Queste si differenziano dagli altri modelli, perché danno una compressione standard di 18 mm di Hg alla caviglia e di 8 mm di Hg alla coscia e quindi possono essere indossate e tollerate durante tutto il giorno, anche di notte. Dopo interventi chirurgici di safenectomia la compressione trova la sua indicazione nella prevenzione degli ematomi e nella riduzione dell’edema e quindi del dolore. Nell’immediato postoperatorio si utilizzano dei bendaggi fissi, adesivi o coesivi, seguiti dopo 2-3 giorni dall’utilizzo di calze o di monocollant elastici della 2° classe di compressione, che vengono indossati per circa 4-6 settimane. Anche dopo scleroterapia delle varici la compressione è considerata parte importante della stessa terapia. Altamente raccomandato è poi l’utilizzo di tutori elastici della 2° classe di compressione nella prevenzione della recidiva dopo la guarigione di un’ulcera venosa da stasi. Le controindicazioni e gli effetti collaterali della terapia compressiva sono molto rari. In genere la maggiore limitazione all’uso di calze elastiche è rappresentata nell’anziano dalla difficoltà ad indossarle in presenza di patologie concomitanti, soprattutto di tipo artrosico. Particolare attenzione deve essere comunque posta nei confronti della concomitante presenza di arteriopatie, soprattutto nei pazienti di età maggiormente avanzata e con indice caviglia-braccio inferiore a 0,6.
TERAPIA
Teleangectasie. La terapia è ambulatoriale e consiste nell’iniettare all’interno della rete capillare andata incontro a dilatazione una sostanza cosiddetta sclerosante in concentrazione opportuna al calibro, alla localizzazione e al tipo di varicosità da trattare.
Per incrementare il successo della sclerosante viene utilizzata la schiuma (Foam),  che è essenzialmente una miscela tra liquido sclerosante ed aria: questa tecnica consente di ridurre le quantità di farmaco necessarie perché il liquido più vischioso (bolle) aumenta e si distribuisce meglio nell’albero venoso e rimane al suo interno per più tempo a contatto con le pareti venose.
Questa sostanza indurrà un’infiammazione controllata della parete vascolare causando la fibrosi o sclerosi del capillare con completa occlusione e scomparsa nel giro di un mese circa. È molto importante che il paziente dopo il trattamento adoperi le calze a compressione graduata prescritte e soprattutto non si esponga al sole per non veder sostituire la varicosità rossastra da una macchia bruno nerastra.
  • Terapia delle varici venose:

La terapia medica è solo adiuvante alla terapia chirurgica e viene praticata nell’impossibilità (come in gravidanza) di ricorrere alla terapia chirurgica.

  1. Eparine a basso peso molecolare (LMHW): sono preferite alla classica eparina non frazionata (UFH)  perchè non attraversano la barriera placentare.  Clexane® fiale s.c. 2.000 UI, 4.000 UI (enoxaparina sodica); Fraxiparina®, Seleparina®  (Nadropina calcica) fiale preriempite  s.c. 0.3, 0,4, 0.6, 0.8, 1 ml
  2. I farmaci “venotonici”  sono quasi privi di efficacia se il paziente non rimuove contestualmente la causa della malattia (ipertensione venosa, varici, stasi venosa periferica). 
  3. CHIRURGIA ABLATIVA: La chirurgia ablativa comprende gli interventi di safenectomia, la crossectomia e la flebectomia. 
a) Safenectomia La safenectomia interna o esterna si realizza mediante la tecnica dello stripping, che può essere lungo, se viene asportata la grande safena dalla crosse al malleolo tibiale, medio dalla crosse al terzo medio di gamba, corto dalla crosse al terzo superiore di gamba, ultracorto dalla crosse al terzo inferiore o medio di coscia. Lo stripping della safena rappresenta la tecnica standard del trattamento chirurgico delle varici. Il più eseguito nel mondo è il metodo endovenoso, descritto da Babcock nel 1907 utilizzando una sonda rigida, poi sostituita da una sonda flessibile da Myers nel 1957, ma può essere utilizzato anche il metodo esovenoso descritto da Mayo nel 1906 o lo stripping per invaginazione descritto da Keller nel 1905 e divulgato da Van der Stricht nel 1963 che lo utilizzò in anestesia locale. L’asportazione dei tronchi safenici può essere associata alle varicectomie di coscia e/o di gamba ed alla sezione-legatura delle vene perforanti insufficienti, raggiungendo così anche una finalità emodinamica attraverso l’exeresi delle vie di reflusso.
b) Crossectomia La crossectomia consiste nella deconnessione della giunzione safeno-femorale, associata a legatura e sezione di tutte le collaterali della crosse. Associata a flebectomia, è comparabile nei risultati alle varie tecniche di stripping, ma soltanto se preceduta da un accurato studio cartografico preoperatorio.
c) Flebectomia La flebectomia per miniincisioni fu introdotta da Muller nel 1966. Questa tecnica dalle finalità estetiche, oltre che funzionali, si realizza con l’asportazione dei rami varicosi del circolo superficiale attraverso incisioni di pochi millimetri, nelle quali vengono introdotti degli strumenti simili ad uncini, che consentono di portare all’esterno le vene, che vengono poi asportate. In pazienti con trombosi venosa superficiale la miniincisione può essere utilizzata per l’ablazione dei rami varicosi trombizzati o più semplicemente per la spremitura del materiale trombotico in essi contenuto. Oggi è possibile effettuare la flebectomia anche ambulatorialmente ed in anestesia locale (10).
4. Terapia sclerosante  L’obliterazione del lume della safena si può ottenere sia con mezzi chimici, ed in tal caso si parla più propriamente di scleroterapia, sia con mezzi fisici, quali la radiofrequenza e l’energia laser.
         a) La scleroterapia consiste nella obliterazione chimica delle vene varicose. Per ottenere ciò, si inietta nelle vene un liquido sclerosante istolesivo, che danneggia l’endotelio provocando spasmo, trombosi ed una reazione infiammatoria reattiva, che porta alla fibrosi ed obliterazione permanente della vena. Il tipo e la concentrazione del liquido sclerosante variano a seconda che si debbano trattare le vene safene o le vene varicose collaterali. Le iniezioni vengono praticate in più sedute, distanziate da pochi giorni a poche settimane una dall’altra. La compressione mediante bendaggi o tutori elastici favorisce l’azione della terapia sclerosante. Per quanto riguarda i risultati, l’obliterazione della vena si ottiene inizialmente in oltre l’80% dei pazienti, ma a distanza di anni una gran parte delle vene sclerosate si ricanalizza. Studi clinici e strumentali con controllo doppler hanno, infatti, evidenziato come la grande safena venga obliterata nel 80-90% dei casi (15), ma dopo 1 anno è ricanalizzata nel 30% dei casi (16) e dopo 3 anni nel 50% dei pazienti trattati (17). Simili risultati sono stati ottenuti anche con la scleroterapia della piccola safena, obliterata inizialmente nel 90% dei casi (18,19), ma dopo 2 anni ricanalizzata nel 33% dei casi (17), e dopo 5 anni nel 77% quando anche la vena poplitea era incontinente (20). Buoni risultati sia immediati che a distanza si hanno con la terapia combinata, che prevede l’intervento chirurgico e quindi la legatura-sezione della giunzione safenofemorale, e la scleroterapia per le rimanenti varici a carico delle collaterali safeniche. Recentemente, per migliorare i risultati anche nel trattamento delle vene safeniche, è stata proposta l’iniezione di mezzi sclerosanti di tipo detergente, quali il polidocanolo e il tetradecil solfato di sodio, in forma di microschiuma e sotto guida ecografica (21). Attualmente la scleroterapia è utilizzata nel trattamento di una ampia gamma di varici, che vanno dalle teleangectasie alle varici reticolari, dalle varici residue a quelle recidive dopo chirurgia (22). Può essere la terapia di scelta nei casi dove la chirurgia è improponibile, perché difficile, con risultati incerti o ad elevato rischio, oppure su richiesta del paziente, che deve comunque essere informato sui risultati e sulle complicanze della scleroterapia rispetto alla chirurgia. Le controindicazioni comprendono l’allergia al liquido sclerosante, le malattie sistemiche gravi, la trombosi venosa profonda recente, l’infezione locale o sistemica, l’immobilizzazione. E’ consigliata prudenza nei pazienti con trombofilia o in terapia estroprogestinica. E’ da evitare in gravidanza.
             b) Radiofrequenza La procedura ottiene l’obliterazione della safena, applicando alla parete della vena energia termica prodotta dalla radiofrequenza. Questa comporta un ispessimento delle fibre collagene dell’avventizia con una contrazione immediata della parete, che riduce il lume fino alla completa chiusura della vena. Il corretto posizionamento del catetere operatore alla giunzione safenofemorale viene verificato intraoperatoriamente con l’ecodoppler. Al controllo postoperatorio immediato si evidenzia, nei casi favorevoli, la safena trasformata in un cordone solido e contratto.
                   c) Trattamento Laser (Endo Venous Laser Therapy, EVLT): l’obliterazione della vena safena è in questo caso ottenuta mediante l’utilizzo della tecnica laser. La fibra laser, posizionata mediante catetere sotto controllo ultrasonografico a circa 15-20 mm dalla giunzione safenofemorale, nel momento della sua attivazione emette energia luminosa che viene captata dall’emoglobina e trasformata in energia termica. Questa provoca uno spasmo della parete vasale per contrazione delle fibre elastiche e collagene, con conseguente riduzione del lume vascolare fino alla completa obliterazione della vena, man mano che si retrae il catetere con la fibra laser attraverso l’incisione cutanea precedentemente effettuata. La procedura laser viene di solito eseguita in anestesia locale e in regime ambulatoriale. Le complicazioni, rappresentate da ecchimosi e da bruciore cutaneo transitorio, sono trascurabili. A distanza di 4 anni dal trattamento più dell’88% dei pazienti operati presenta una safena obliterata e spesso addirittura non più visibile all’indagine ultrasonografica.

d) Transilluminazione obliqua percutanea:  nel corso di un trattamento scleroterapico, durante una microflebectomia o una coagulazione endovascolare laser di varici reticolari può essere considerata una vera e propria rivoluzione per lo specialista in Flebologia Estetica. Rende estremamente agevole e preciso il trattamento del microcircolo superficiale favorendo i risultati e riducendo al minimo gli effetti collaterali dei trattamenti. L’apparecchiatura è costituita da un generatore di luce fredda trasportata mediante fibre ottiche, racchiuse all’interno di un lungo cavo flessibile, fino ad un particolare anello attraverso il quale tale luce verrà inviata, seguendo una direzione obliqua, nel tessuto sottocutaneo, focalizzandosi ad alcuni millimetri di profondità. L’applicazione della luce fredda così angolata direttamente sulla zona da trattare consente di visualizzare con stupefacente facilità e chiarezza i reticoli venosi sottocutanei alimentanti le ramificazioni capillari, rendendo estremamente agevole e preciso il loro incannulamento con l’ago della siringa: l’introduzione del liquido o della schiuma sclerosante determinerà uno svuotamento ematico che potrà essere seguito lungo l’intero decorso della vena. In alcuni casi sarà possibile assistere, in superficie, al “wash out” delle teleangectasie stesse, a riprova della validità ed efficacia dell’iniezione.Gli stessi vantaggi potranno derivare dall’uso di questa metodica nel corso di una microflebectomia o durante un trattamento laser endovascolare in soggetti nei quali la scleroterapia non sia indicata o si ritenga più opportuno utilizzare tecniche terapeutiche differenti e/o con minori possibilità di effetti collaterali (non ultimo il desiderio della paziente di sottoporsi a trattamenti con tecnologie d’avanguardia). Tali tecniche inoltre, soprattutto le più innovative, possono essere eseguite anche in ambito ambulatoriale. Ovviamente tutte le terapie chirurgiche  sono controindicate in gravidanza.

e) MOCA. Quest’ultima tecnica è indolore e non richiede alcuna anestesia.  Prevede l’utilizzo di un catetere rotante inserito nel lume venoso sotto guida ecografica. Esso determina un’alterazione meccanica e chimica della vena varicosa e quindi la sua completa chiusura. 

Tromboflebite superficiale:

In genere colpisce vene già dilatate prima della gravidanza o dilatatesi nel corso di questa. Si presenta come una zona gonfia, calda e dolente, dove è possibile palpare un nodulo od un cordone duro corrispondente alla varice trombizzata.
La gamba non tende a gonfiarsi  a meno che non sia presente anche un interessamento delle vene profonde, da escludere con un monitoraggio con il Color Doppler.

La terapia della trombosi superficiale ha due indirizzi terapeutici in relazione alla presenza o meno della componente infiammatoria. In presenza di flogosi si utilizzano antinfiammatori per uso topico e sistemico (Ketoprofene, Fenilbutazone, Benzidamina, Bromelina) e terapia antibiotica in presenza di complicanze batteriche. In assenza di flogosi: Eparina calcica (Eparina calcica EG®  5.000 UI, Arixtra® 2,5 mg,  fiale preriempite da 0.5 ml per iniezione sottocutanea in area glutea infiggendo interamente l’ago nella plica sottocutanea), eparinoidi (Hirudoid® gel, Hemeran® crema) per uso topico. Compressione  con bendaggio elasto-compressivo. Va accuratamente evitato l’allettamento, ma favorita la deambulazione.

Trombosi venosa profonda (TVP): 

Può passare inosservata a causa della scarsa sintomatologia se interessa vene poco importanti. Può manifestarsi con l’edema di tutta la gamba, dolenzia profonda, comparsa di varici superficiali.

E’ più frequente alla fine del III° trimestre di gravidanza e nel post-partumIl parto cesareo è un fattore predisponente alla TVP che compare nello 0,4-10% degli interventi ginecologici e la sua frequenza raddoppia negli interventi ginecologici per neoplasie.
La sua gravità sta soprattutto nel rischio di lesione valvolare venosa e conseguente insufficienza venosa cronica e nel rischio di embolia polmonare.

L’embolia polmonare è una patologia in cui la prima manifestazione può essere fatale quoad vitam  (11) oppure con morbidità grave e di lunga durata (ipertensione polmonare post-embolica, sindrome post-trombotica, predisposizione a recidive di TVP).
Il parto cesareo comporta un rischio di embolia polmonare 10 volte maggiore del parto vaginale (8).
La prevenzione e la terapia della TVP e dell’embolia polmonare si basano sull’uso di eparine a basso peso molecolare per 7 giorni prima dell’intervento e per 10 gg dopo (30 gg in caso di interventi per neoplasie) (9).  A scopo profilattico è sufficiente la monosomministrazione di 4.000 UI/die di Enoxaparina (indipendentemente dal peso)  mentre il dosaggio di Nadroparina va personalizzato in base al peso della paziente (0.3 ml per paziente <50 Kg; 0.4 per 50-70 Kg; 0.6 per 70-80 Kg: 0.8 per 80-100 Kg) sempre in monosomministrazione/die. La terapia invece prevede la doppia somministrazione giornaliera.    Utile associare il bendaggio elasto-compressivo. L’allettamento va limitato al minimo indispensabile.

Altra grave complicanza della TVP è la lesione valvolare venosa che si verifica nel 35% dei casi e comporta insufficienza venosa cronica che va curata con eparina classica (5.000 UI in bolo endovenoso seguito da infusione di 30.000/24 ore oppure 5000 UI in bolo ev  seguito  da iniezione sc di 17.500 UI ogni 12 ore e successiva personalizzazione). La validità della terapia con UFH è monitorata attraverso il dosaggio della aPTT. Si consglia di mantenere la aPTT ratio a valori doppi rispetto a quelli basali della paziente.

L’ulcera venosa è una lesione cutanea cronica che non tende a guarigione spontanea, che non riepitelizza prima di 6 settimane e che recidiva con elevata frequenza. L’ulcera, unica o plurima, presenta di solito una forma irregolare, ha il fondo ricoperto da un essudato giallastro, ha margini ben definiti, può essere circondata da cute eritematosa o iperpigmentata e liposclerotica. Le ulcere variano in dimensione e sede, ma nei pazienti affetti da varici si osservano abitualmente nella regione mediale del terzo inferiore di gamba in zona perimalleolare. Un’ulcera venosa nella parte laterale di gamba è spesso associata ad insufficienza della piccola safena. I pazienti con ulcera venosa possono lamentare intenso dolore, anche in assenza di infezione. Il dolore è aggravato dalla stazione eretta e diminuisce fino a scomparire con l’elevazione dell’arto inferiore. Essendo l’ulcera caratterizzata dalla lenta riparazione e dalla tendenza a recidivare, l’obiettivo della terapia è non solo la guarigione, ma anche la prevenzione della recidiva. Nello stesso tempo è molto importante migliorare le condizioni psicologiche del paziente, spesso depresso e sfiduciato, sia per l’accettazione della malattia sia per la collaborazione nel mettere in atto il programma terapeutico (23).

La terapia di un’ulcera venosa può coinvolgere uno o più dei seguenti trattamenti:

1. trattamento di base: dovrebbe conformarsi alla regola generale di considerare il paziente nella sua globalità, per cui molta importanza ha il suo modus vivendi, la sua capacità deambulatoria, il suo lavoro, l’eventualità presenza di obesità, diabete o altre malattie concomitanti.

2. terapia medica:  va ad agire mediante i noti farmaci venotropi su vari fattori, quali il tono venoso, l’aumentata permeabilità capillare, l’edema, la ridotta attività fibrinolitica, l’incremento del fibrinogeno plasmatico, le anomalie della funzione leucocitaria, il controllo del dolore e delle sovrainfezioni, le malattie concomitanti. Recenti trials hanno dimostrato l’efficacia farmacologica dei bioflavonoidi soprattutto in associazione all’elastocompressione. 

3. compressione: Il trattamento compressivo è efficace in tutti i pazienti portatori di un’ulcera venosa. E’ però necessario che il paziente sia in grado di deambulare, al fine di ottenere il massimo beneficio dalla compressione. Nella fase acuta dell’ulcera è preferibile una compressione fatta con bende anelastiche, con bende all’ossido di zinco o con un bendaggio multistrato. Quest’ultimo può essere lasciato in sede anche per una settimana, ma all’inizio del trattamento, finchè l’essudato e l’edema non diminuiscono, è preferibile rimuovere ed applicare il bendaggio più spesso. La compressione mediante calze elastiche è utilizzata per mantenere il risultato raggiunto nella cura dell’ulcera e prevenire le recidive. Generalmente sono utilizzate calze della 2a classe di compressione. Nei pazienti anziani o quando coesistono problemi di mobilità articolare può essere più facile far indossare due calze sovrapposte l’una sull’altra della 1° classe di compressione. Le recidive, legate a vari fattori di rischio, ma soprattutto alla persistenza dell’alterazione emodinamica ed alla inadeguatezza o non accettabilità del tutore compressivo, sono tuttora frequenti sia a breve termine che a distanza dalla guarigione, variando dal 20 fino al 75% dei pazienti trattati.

4. medicazione topica:  Il trattamento topico dell’ulcera venosa deve assicurare la detersione della lesione, la conservazione del microambiente, la protezione dagli agenti infettanti e la stimolazione dei meccanismi riparativi cellulari. E’ stato recentemente introdotto il concetto di gestione globale e coordinata della lesione, volta ad accelerare i processi endogeni di guarigione, ma anche a promuovere l’efficacia di altre misure terapeutiche

5. chirurgia: comprende lo “sbrigliamento” o “debridement”, che può essere autolitico o enzimatico o meccanico, atto a rimuovere il tessuto necrotico con le componenti essudative e la correzione delle alterazioni del microambiente. Attualmente, nonostante la grande varietà di medicazioni proposte, non ne esiste ancora una ideale, né è possibile stilare dei protocolli rigorosi che siano validi per la cura di tutte le ulcere venose. L’esperienza dimostra che ogni prodotto si rivela inizialmente efficace, ma tale beneficio può decrescere nel tempo, mentre un altro prodotto può poi portare a guarigione l’ulcera. Per questo motivo si dovrebbe enfatizzare nel loro trattamento un atteggiamento dinamico, tenuto conto di varie fasi evolutive nella storia naturale dell’ulcera, che variamente può presentarsi necrotica, fibrinosa, essudante, infetta, detersa, ganuleggiante, in fase di riepitelizzazione. Nelle fasi più avanzate del processo di guarigione, quando la secrezione è scarsa e l’ulcera si superficializza, si può ricorrere alle medicazioni cosiddette biologiche, utilizzando delle sottili pellicole a base di cellulosa o di acido jaluronico, che da una parte esercitano una funzione protettiva, impedendo l’infezione dell’ulcera, dall’altra forniscono un buon supporto per la migrazione e la proliferazione delle cellule basali dell’epidermide, mantenendo un adeguato livello di umidità, che evita l’essiccamento della lesione (23). La terapia chirurgica dell’ulcera persegue essenzialmente due obiettivi: la correzione dell’insufficienza venosa superficiale, qualora presente e la copertura dell’ulcera mediante innesti di cute, non solo autologa, ma anche omologa, allo scopo di ridurre i tempi di guarigione.

6. scleroterapia: La scleroterapia della vena nutrice dell’ulcera o di altre vene perforanti insufficienti può trovare la sua indicazione in casi selezionati sotto guida ecografica, anche se è presente un’ulcera aperta.

7. misure generali: Tra le misure generali una passeggiata regolare in pianura per almeno 30 minuti dovrebbe essere largamente incoraggiata, mentre i lunghi periodi di stazione eretta vanno assolutamente evitati. La terapia fisica può migliorare la mobilità articolare della caviglia, spesso compromessa in questi pazienti portatori di ulcera venosa da lunga data. 

 

ESERCIZI DI FISIOKINESITERAPIA PER PREVENZIONE VARICI:

*** Posizione di partenza: sdraiati supini, gambe distese, mani dietro la testa.

Esecuzione: flettere più che possibile le ginocchia e le anche;

Cosce flesse, estendere e flettere le ginocchia piuttosto lentamente dalle 15 alle 20 volte.

 *** Posizione di partenza: sdraiati supini, gambe in posizione sollevata.

Esecuzione: muovere le dita dei piedi più rapidamente e più ampiamente possibile, nel senso della flessione e della estensione.

Durata: 30 secondi.

 *** Posizione di partenza: sdraiati supini, gambe sollevate. 

Esecuzione: fare ruotare i piedi in senso circolare, prima in un verso poi nell’altro, per 8 volte.

Durata: 30 secondi con movimento rapido.

 *** Posizione di partenza: sdraiati supini, gambe sollevate. 

Esecuzione: prima da un lato poi dall’altro, flettere fortemente le dita dei piedi e quindi estendere più che possibile.  Durata: 30 secondi con movimenti rapidi.

 ***  Posizione di partenza: sdraiati supini, gambe flesse sulla coscia e coscia sul bacino.

Esecuzione:

1) stringere con le mani uno dei piedi;

2) mentre il ginocchio viene lentamente esteso, con il palmo delle mani esercitate una lieve pressione; le mani devono abbracciare l’intera gamba;

3) estendere la coscia, come fatto in precedenza per la gamba.

Durata: per ogni arto 8-10 movimenti, eseguiti lentamente;

  *** Posizione  di partenza: sdraiati supini, gambe sollevate. 

Esecuzione: sotto le piante  dei piedi si comprime con pressione gradualmente progressiva un cuscino; contemporaneamente si flettono le dita dei piedi e quindi si solleva dal piano del letto il sedere.

Durata: da4 a6 volte impiegando 30 secondi per ogni esercizio; tensione (4 secondi), rilassamento (4 secondi).

 *** Posizione di partenza: sdraiati supini, gambe sollevate.

Esecuzione: a gambe incrociate, si comprimono l’uno contro l’altro i dorsi dei piedi con pressione gradualmente progressiva.  Durata: da 4 a 6 volte con una durata di 30 secondi per esercizio; lenta pressione (4 secondi) e lento rilassamento (4 secondi).

 

Ginnastica emocinetica

Esercizio 1: Posizione di partenza: decubito dorsale, gambe estese, mani sotto la testa.

Flettere la gamba e la coscia al massimo, protendere la gamba in verticale, poi abbassare la gamba estesa.

Ripetere l’esercizio alternativamente con le due gambe 15-20 volte con cadenza moderatamente lenta.

 Esercizio 2: Posizione di partenza: decubito dorsale, gambe sollevate;

Flettere e ipertendere le dita dei piedi il più rapidamente possibile per 30 secondi .

 

Esercizio 3: Posizione di partenza: decubito dorsale, gambe sollevate;

Ruotare 8 volte i piedi alternativamente verso l’interno e l’esterno per 30 secondi con cadenza rapida.

 Esercizio 4: Posizione di partenza: decubito dorsale, gambe sollevate;

flettere e estendere alternativamente il piede destro e sinistro per 30 secondi con cadenza rapida.

 Esercizio 5: Posizione di partenza: decubito dorsale, gambe estese;

flettere l’arto e prendere il piede a due mani, poi estendere l’arto facendo scivolare le mani (che esercitano una leggera pressione) lungo tutta la gamba e la coscia,. Verranno effettuati 8-10 esercizi per gamba, con cadenza lenta.

 Esercizio 6: Posizione di partenza decubito dorsale, gambe sollevate;

Stringere il più fortemente possibile un cuscino tra le piante dei piedi e contemporaneamente curvate schiena e bacino. Eseguire gli esercizi per 30 secondi, lenta contrazione (4 secondi), e lenta decontrazione (4 secondi).

 Esercizio 7: Posizione di partenza. decubito dorsale, gambe sollevate;

Le gambe sono incrociate e le parti dorsali dei piedi sono spinte il più fortemente possibile una contro l’altra. Ripetere l’esercizio 4-6 volte in 30 secondi, spingere lentamente (4 secondi).

References list:

  1. Callam M.J.: Epidemiology of varicose veins. British Journal of surgery, 1994; 81:167
  2.  Novo J., Avallone G., Pinto A., Strano A.: Prevalence of primitive varicose veins of the lower limbs in a randomized population, sample of western Sicily. Int. Surg., 1998; 7:176
  3.  Wienert V., Willer H.: Epidemiologia delle malattie venose. Ed. C.E.L.I. Schattauer, Faenza 1993
  4. Corsi C. Marrapodi E.: Epidemiologia delle varici. Venum. Flebologia pratica, 1996; 45-48
  5. Barile C., et all.: Physiopatology of varices during pregnancy. Minerva Ginecol., 1990 Apr.; 42(4): 117-21
  6. Struckman J.R., Meiland H., Bagi P., Jorgensen B.J.: Venous muscle pump function during pregnancy. Acta Obstet. Gynecol. Scand., 1990; 69: 209-15
  7. Woodhams B.J., Candotti G., Shaw R. et al.: Changes in coagulation and fibrinolysis during pregnancy: evidence of activation of coagulation preceding spontaneous abortion. Thromb. Res.; 55:99-107, 1989.
  8. Scognamiglio G., Liguori G., Volpicelli T., Sole E., Faticato A., D’Ambrosio M., Tolino: “La malattia varicosa e gravidanza: valutazione clinico-strumentale”. 
  9. Samama C.M. et al : Venous Thromboembolism prevention in Surgery and Obstetrics: Clinical Practice Guidelines . European Journal of Anesthesiology 2006;23:95-116
  10. Bergquist D. et al: Duration of prophylaxis against venous thromboembolism with enoxaparin after surgery for cancer. The New England Journal of Medicine 2002: 346: 975-980. 
  11. Agus G.B.: Chirurgia delle varici: tendenze recenti. Minerva Medica,Torino 1991
  12. Letsky E.A.: Peripartum prophilaxy of thromboembolism. Baillieres Clin. Obstet. Gynecol. Sep; 11(3): 523 43, 1997. 
  13. Botta G, Delle Monache GL, Guasconi A, Piccinetti A, Mancini S. Come affrontare le varici recidive dopo stripping. Flebologia 1997, 8(2): 97-100.
  14. Cesarone MR, Belcaro G, Nicolaides MD Epidemiology of Cost of Venous Diseases in Central Italy. The San Valentino Venous Disease Project. Angiology 1997; 48:583-93.
  15. Schadeck M, Allaert FA: Résultats à long terme de la sclérotherapie des saphénes internes. Phlébologie 1997; 50:257-62.
  16. Vin F: Controle d’efficacité des traitements sclérosants en phlébologie. Phlébologie 1990; 43:673-80.
  17. Grondin L, Young R, Wouters L. Sclérotherapie écho-guidée et sicurté: comparisons des techniques. Phlébologie 1997; 50:241-5
  18. Isaacs M, Forrestal M, Harp J, Gardener M Sclérothérapie écho-guidée des troncs saphéniens. Phlébologie 1997; 50:247-9.
  19. Schultz-Ehrenburg U: Sclerotherapy of the Popliteal Junction in Primary Varicose Veins. J Dermatol Surg Oncol 1992; 18:61.
  20. Ruckley CV: Socioeconomic Impact of Chronic venous Insufficiency and Leg Ulcers. Angiology, 1997; 48:67-9.
  21. Cabrera J, Cabrera J.Jr, Garcia-Olmedo MA Sclerosants in microfoam. Intern Angiol 2001; 20:322-9.
  22. Mariani F, Mancini S. Manuale di Scleroterapia Edito da Minerva Medica, Torino, 2006
  23. Mancini S. Trattato di Flebologia e di Linfologia Edito da Utet, Torino, 2001

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10 commenti

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